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La final más linda de la historia

boca-riverIl Superclásico Boca Juniors-River Plate assegnerà la 59ª edizione della Coppa Libertadores, che per l’ultima volta prevede la disputa della finale con gare di andata e ritorno.

L’Argentina, il Sud America, il mondo intero: tutti sono in trepidante attesa per le due sfide più sentite dell’universo calcistico. Boca-River, River-Boca. Il 10 novembre alla Bombonera il match d’andata, il 24 al Monumental i 90 (o forse più) minuti che decreteranno la vincitrice dell’ultima Libertadores con la doppia finale, in cui, tra l’altro, non avrà valore la regola dei gol in trasferta. Dal 2019, infatti, la massima competizione sudamericana si adeguerà all’omologa Champions League e vivrà l’ultimo atto in gara unica e campo neutro.

La “finale del secolo”, come è stata già ribattezzata dagli addetti ai lavori, non trova termini di paragone neanche con la più ricca Coppa dei Campioni. Forse, solo un’eventuale finalissima tra Real Madrid e Barcellona, finora mai verificatasi, potrebbe avvicinarsi in termini di pathos all’epilogo della Libertadores 2018. Il Clásico contro il Superclásico. Il primo sicuramente stravince dal punto di vista tecnico, dal momento che si parla, probabilmente, delle due squadre più forti del pianeta, ma, per quanto riguarda i restanti aspetti, il derby di Buenos Aires surclassa ogni altra partita per ambiente, emozioni e tifo, tanto che nel 2004 il periodico britannico The Observer ha messo la visione dal vivo del Superclásico al primo posto delle 50 cose da fare prima di morire.

La “Doce” (il “12”, a simboleggiare l’uomo in più che gli ultras rappresentano) degli Xeneizes contro “Los Borrachos del Tablón” (“Gli ubriachi della curva”) dei Millonarios. Le due tifoserie più calde e spettacolari del Sud America si preparano per vestire a festa i rispettivi impianti ed è un gran peccato che non ci saranno i tifosi ospiti, come avviene ormai da diversi anni, nonostante il tentativo di Mauricio Macri, presidente dell’Argentina dal 2015 e massimo dirigente del Boca dal 1995 al 2012, di porre rimedio a questa chiusura.

“Siamo rivali, non nemici. Godiamoci questa storia finale senza violenza”. Il messaggio lanciato insieme sui social da Leandro Paredes, ex Boca, e Sebastián Driussi, ex River, serve per pensare unicamente alla bellezza di questa doppia sfida, che deve essere uno spot per il calcio, anche in onore dei 71 tifosi che persero la vita schiacciati dal Cancello 12 dello stadio Monumental dopo un River-Boca del 23 giugno 1968. Meglio, quindi, non entrare nell’annosa questione delle Barras Bravas, ovvero dei gruppi ultras criminali che rappresentano il lato oscuro e criminale del tifo argentino, forti della connivenza con le autorità e le forze dell’ordine.

Per rendere l’idea di quanto sia importante questa finale, è utile menzionare ancora Paredes. L’ex centrocampista di Chievo, Empoli e Roma è stato accusato dai tifosi dello Zenit San Pietroburgo, sua attuale squadra, di essersi fatto espellere di proposito durante l’ultima sfida del campionato russo per poter “scappare” alla Bombonera e tifare per gli Xeneizes, i “genovesi”, soprannome che accompagna il Boca fin dalle origini, poiché i fondatori furono degli immigrati genovesi. A ulteriore testimonianza della storicità di questo derby, fortemente connotato da tratti italiani, va ricordato che anche il River, fondato nel 1901, due anni prima dei rivali, ha origini liguri, essendo nato dalla fusione di due squadre, una delle quali di matrice genovese.

L’Italia è presente anche nelle rose dei due club: sono ben sei i calciatori transitati nel nostro campionato, seppur con fortune diametralmente opposte. Il nome più importante è senza ombra di dubbio quello di Carlos Tévez, trascinatore della Juventus tra il 2013 e il 2015 e ritornato per la terza volta tra le fila del Boca a gennaio dopo una parentesi redditizia (economicamente parlando) con i cinesi dello Shanghai Shenhua. Tra le fila degli azul y oro figurano anche Fernando Gago, tanti anni al Real Madrid e un’esperienza poco proficua nella Roma di Luis Enrique, e Mauro Zárate, quattro stagioni alla Lazio (l’ultima vissuta fuori rosa), una all’Inter e una alla Fiorentina, ma mai capace di mostrare, se non in rarissime occasioni, il suo potenziale.

Meteore o poco più, invece, i tre Millonarios passati per il Belpaese: Bruno Zuculini, arrivato al River a gennaio dopo tanti prestiti e un anno vissuto tra Serie A e Serie B con l’Hellas Verona; Juan Quintero, che fece parte della rosa del disastroso Pescara 2012/2013, retrocesso in B con una lunga sfilza di record negativi, e ancora di proprietà del Porto, che ha speso, senza mai essere ripagato, 10 milioni nell’estate 2013; Lucas Pratto, cresciuto negli Xeneizes, che giocò poco e male sei mesi nel Genoa 2011/2012 prima di tornare in Argentina.

Le stelle del Boca sono Cristian Pavón, l’unica nota lieta della fallimentare spedizione mondiale dell’Argentina di Jorge Sampaoli, e Darío Benedetto, che ha alle spalle una storia da film. Infatti, dopo aver perso la madre a 12 anni, decise di abbandonare il calcio e di aiutare il padre come bracciante. Rimessi gli scarpini a 17 anni, ha iniziato la scalata che lo ha portato nell’ottobre 2017 a essere scelto dal CT Sampaoli come titolare dell’attacco argentino nelle decisive gare di qualificazioni al Mondiale, a discapito dei più quotati Higuaín e Icardi. Il 19 novembre 2017, però, la rottura del legamento crociato anteriore del crociato destro lo ha costretto a dire addio a Russia 2018 e a stare fuori per nove mesi. La seconda “resurrezione” sportiva di Benedetto si è avuta lo scorso 24 ottobre, quando, entrato dalla panchina nella semifinale d’andata contro il Palmeiras, ha realizzato nei minuti finali la doppietta che ha indirizzato la qualificazione verso i gialloblù, per poi ripetersi anche in Brasile con il gol del definitivo 2-2.

Il River, dal canto suo, può contare su Gonzalo Martínez, che di recente ha esordito con l’Albiceleste trovando il gol nell’amichevole con il Guatemala, ed Exequiel Palacios, classe 1998, fresco, come il compagno, di battesimo con la Nazionale e sul quale hanno messo da tempo gli occhi Real Madrid e Inter.

Grande curiosità suscita il confronto tra i due allenatori, entrambi bandiere dei club anche da calciatori. Guillermo Barros Schelotto è il secondo giocatore più titolato della storia del Boca con 16 trofei in 10 anni, secondo solo a Sebastián Battaglia (18). Sa bene come si vince la Libertadores, avendola conquistata quattro volte con i gialloblù, compresa l’ultima del 2007. Dopo una brevissima parentesi di un mese nel Palermo di Maurizio Zamparini, conclusa con le sue dimissioni giacché la UEFA non riconosceva la validità del suo patentino da allenatore, nel marzo 2016 si è seduto sulla panchina degli Xeneizes, contribuendone a rafforzare l’egemonia interna con due campionati argentini vinti consecutivamente nel 2017 e nel 2018. Non è un caso, però, che quest’anno il Boca (così come il River) sia attardato dalla vetta in patria, dato che l’obiettivo dichiarato è la conquista della Libertadores e il ritorno all’era d’oro dei successi internazionali di cui Schelotto fu uno dei principali artefici e che ha infiammato per anni il dibattito con il Milan e, in particolare, con Adriano Galliani, all’epoca AD dei rossoneri, su quale dei due club fosse il più titolato al mondo.

Marcelo Gallardo siede sulla panchina della Banda dal 2014 e da allora ha fatto incetta di titoli, conquistandone otto, comprese la Coppa Sudamericana del 2014 (equivalente all’Europa League) e la Libertadores dell’anno successivo, terzo e finora ultimo successo del River nella manifestazione. Gallardo, avvalendosi anche del lavoro del suo predecessore Ramón Díaz, campione nel Torneo Final 2014, è stato in grado di dare nuovamente un’impronta vincente ai Millonarios dopo la nefasta retrocessione del giugno 2011, un’onta che ancora oggi i tifosi del Boca rinfacciano e che potrebbe essere definitivamente cancellata in caso di successo nell’imminente finale.

Non è semplice retorica affermare che non ci sia una formazione favorita. Lo dimostrano anche i 24 precedenti nella Libertadores, che vedono un leggero vantaggio del Boca (10 a 8), anche se l’ultimo incrocio, datato 15 maggio 2015, si concluse con la vergognosa aggressione degli ultras della Bombonera ai giocatori del River, che, tra primo e secondo tempo, vennero colpiti con dello spray urticante. L’episodio costò la sconfitta a tavolino e la conseguente eliminazione agli azul y oro. Anche l’anno precedente il doppio confronto sorrise ai Millo, che superarono i rivali grazie all’1-0 del Monumental e all’errore dal dischetto di Emmanuel Gigliotti nelle semifinali della Coppa Sudamericana.

Le ultime gioie degli Xeneizes nella competizione risalgono ai primi anni 2000: nei quarti dell’edizione 2000 il grande protagonista fu Martín Palermo, miglior marcatore nella storia del club, che permise ai Los Bostores di ribaltare la sconfitta esterna dell’andata e di involarsi verso il primo di due successivi consecutivi nella manifestazione; nelle semifinali del 2004, considerate fino a questa finale le gare più importanti tra le due squadre, salì in cattedra con la sua esultanza al Monumental un giovane Carlos Tévez. A distanza di oltre 14 anni il gesto della gallina (come vengono presi in giro i tifosi del River), che costò l’espulsione all’ “Apache”, resta nell’immaginario collettivo del Superclásico.

Da una parte la voglia del Boca di ripetere il risultato del 1976, anno in cui vinse il titolo nella prima finale in assoluto tra i due club, e di issarsi in testa all’albo d’oro della Libertadores, agguantando i connazionali dell’Independiente a quota 7. Dall’altra il desiderio del River di dare seguito ai due successi ottenuti nei derby del 2018 (un doppio 2-0 nella Supercoppa Argentina di marzo e nell’incrocio di campionato del 23 settembre alla Bombonera) e di regalare a Gallardo il nono titolo, che gli permetterebbe di eguagliare Ramón Díaz come tecnico più vincente nella storia del club.

Una Buenos Aires blindata, anche in vista del G20 in programma il 30 novembre e il 1° dicembre, farà da cornice agli atti 247 e 248 di una rivalità che affonda le sue radici oltre un secolo fa e che ha visto la prima sfida ufficiale 105 anni or sono (era il 24 agosto 1913 e il River s’impose 2-1).

Gli ingredienti per assistere alla finale più bella della storia ci sono tutti. Assistervi dal vivo sarà un vero e proprio privilegio e la caccia al biglietto è feroce per la felicità dei bagarini, i quali, tramite il meccanismo del secondary ticketing, sono arrivati a chiedere fino a 550 euro per un posto nella “12”, il cui costo medio, solitamente, si aggira sui 25/30 euro circa. Inoltre, per una volta, l’aspetto economico, seppur importante (6 milioni di dollari al vincitore, 3 al perdente), non è il principale.
Buon divertimento e viva el fútbol!

Stefano Scarinzi
9 novembre 2018

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