L’influenza della Politica estera nel processo d’integrazione europea
L’intervento di Paolo Wulzer, docente di Storia delle Relazioni internazionali presso l’Università “L’Orientale” al seminario “Relazioni Euromediterranee: storia, scenario, prospettive”, quinto incontro del III Ciclo di Seminari Europalab a cura dell’Associazione Prospettiva Europea. Napoli, Sala Conferenze Inpdap 22/05/2014
Parlare di rapporti tra UE e Mediterraneo significa affrontare il nodo delle relazioni tra l’Unione Europea e il proprio Vicinato. Prima di discutere di tali relazioni, voglio soffermarmi su cosa l’Europa è, su quali sono le origini di questo soggetto, alla vigilia di un importante appuntamento elettorale che lo vede protagonista, quali sono le radici di quel processo di integrazione che dopo varie fasi di allargamento ha condotto all’attuale UE a 28 membri.
Le due grandi motivazioni che hanno mosso tale processo sono quella della sicurezza e quella economica (ad oggi il risultato più tangibile è l’unione monetaria).
Sul piano della politica estera determinanti sono state la preoccupazione degli Usa rispetto ad un rischio di espansione sovietica in Europa e la centralità della questione tedesca: non ci sarebbe oggi l’UE se non ci fosse stato lo stimolo a recuperare la Germania nell’ambito di un contesto democratico occidentale. Nel 1949 la Germania Federale nacque come uno stato a sovranità limitata senza controllo dell’economia e della politica estera, per evitare il rischio di una caduta sotto l’influenza sovietica. La soluzione era far rinascere la Germania senza correre rischi, cosa possibile solo sotto la gabbia europea: questo risultava abbastanza semplice da un punto di vista economico, non altrettanto sul piano militare.
L’accordo chiave per la soluzione della disputa fu quello della CECA, grazie al quale la Germania recupera la propria sovranità in economia rinunciando ai fattori chiave in campo militare ovvero carbone e acciaio.
Dalla fotografia attuale dell’UE possiamo leggere 3 fondamentali successi
– pace solida e duratura tra i paesi europei
– sviluppo economico
– fattore democratico
L’aspetto democratico si coglie in particolare con l’ingresso di Spagna, Portogallo e Grecia che dopo un processo durato diversi anni entrano solo quando in essi si consolida la democrazia.
Il principio è che chi vuole entrare nell’UE deve adeguarsi ai suoi standard in termini non solo economici ma anche politici.
Il grande allargamento da 12 a 28, rappresenta il più grande successo della poitica estera, avendo esso favorito il processo di democratizzazione dei paesi dell’est europeo, spingendoli a trasformare le proprie strutture politiche e sociali, motivati sul piano politico dalla prospettiva dell’ingresso graduale nella Nato e sul piano economico dalle opportunità dei fondi europei.
Se oggi l’Europa è una grande area democratica dal Portogallo al confine con l’Ucraina questo è dovuto essenzialmente al processo di allargamento.
L’allargamento è stato tuttavia un insuccesso sul piano della dimensione interna, mancando la formulazione di una politica estera comune di fronte agli scenari di crisi sullo scenario internazionale. Non c’è stata una crisi dagli anni 90 ad oggi in cui l’Ue abbia parlato con una sola voce, i paesi europei si sono presentati sempre singolarmente. Il problema strutturale del deficit decisionale è legato alla nascita dell’UE su di una base intergovernativa, ovvero il potere decisionale è legato al raggiungimento di un accordo tra tutti i paesi: da qui derivano le difficoltà odierne che la nuova Unione Europea a 28 membri è chiamata a fronteggiare dell’UE a 28.
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