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L’annus horribilis di Ventura

ventura-2018Le strade di Gian Piero Ventura e del Chievo si separano dopo appena un mese e a distanza di un anno esatto dalla mancata qualificazione ai Mondiali.

Abolire il 13 novembre dal calendario. Ѐ probabilmente questo il pensiero ricorrente nella testa di Gian Piero Ventura. Un anno fa lo 0-0 casalingo con la Svezia, che condannò l’Italia a non partecipare alla fase finale dei Mondiali. 365 giorni dopo, invece, la risoluzione consensuale del contratto con il Chievo, che ha posto fine a un’avventura durata solo quattro giornate.

48 ore prima dell’ufficialità del suo addio al club veneto, dopo il primo punto ottenuto contro il Bologna, Ventura aveva annunciato le sue dimissioni tra lo stupore generale. Una situazione apparentemente inspiegabile se si considera la tanta volontà che l’allenatore ligure aveva mostrato nel corso del mese precedente. “Ho una voglia feroce di ripartire” era stato lo slogan della sua conferenza stampa di presentazione a Verona, in riferimento al fallimento sulla panchina della Nazionale. “So che è una sfida difficile, ma mi dà adrenalina. Servirà un’impresa. Vivo questo nuovo inizio con l’entusiasmo di un bambino”. Una dichiarazione che sembrava riavvicinare il tecnico alla sua ancestrale concezione di “libidine” applicata al ruolo dell’allenatore.

Cos’è successo dunque in questi trentadue giorni? Una chiave di lettura potrebbe essere trovata nel duro sfogo di Sergio Pellissier, capitano dei clivensi, contro il suo ormai ex allenatore. “Voleva andare via fin dal primo momento” è il passaggio più duro del messaggio lasciato sui social.
Ventura ha giustificato la sua decisione sostenendo che fosse ormai presa, a prescindere dal risultato con il Bologna: “Mi sono dimesso dal Chievo non per i risultati, ma perché io e la società volevamo raggiungere la salvezza attraverso due strade diverse”. Dichiarazioni che stridono con quelle rilasciate la settimana precedente, dopo il KO con il Sassuolo, il terzo in tre partite, in cui si mostrava ottimista nonostante la difficile situazione di classifica.

Il primo campanello d’allarme era già scattato in occasione del suo esordio sulla panchina gialloblù, macchiato dal 5-1 casalingo subito dall’Atalanta, che ha nuovamente portato alla luce i problemi che hanno caratterizzato gli ultimi 14 mesi di Ventura. La non troppo velata accusa al predecessore Lorenzo D’Anna sulla scarsa condizione fisica della squadra ha richiamato alla mente le tante giustificazioni addotte per motivare il flop con l’Italia. “Avevo ereditato l’Italia più anziana degli ultimi 50 anni e la stavo svecchiando con l’inserimento massiccio di giovani” oppure “Dopo la sconfitta con la Spagna è iniziata una delegittimazione continua: sono diventato l’unico colpevole di tutti i mali. La Federazione spettatrice, la squadra salvata: tutta colpa di Ventura”. Una dialettica di questo tipo, abbinata alla decisione di non dimettersi dopo la débâcle con la Svezia, ha inevitabilmente attirato sull’ex CT le ire di una nazione intera, già di per sé furiosa per dover assistere a un Mondiale senza Italia.

Sarebbe sbagliato addossare a Ventura tutte le colpe di quella disfatta, ma senza dubbio i suoi errori sono stati evidenti sia a livello tecnico sia a livello gestionale. Il suicidio tattico di Madrid contro la Spagna di fatto lo delegittimò nei confronti del gruppo e dell’opinione pubblica. Nella gara del Bernabéu, che avrebbe sostanzialmente assegnato il primo posto nel girone di qualificazione al Mondiale, il 4-4-2 o 4-2-4 dell’Italia, con il conseguente svuotamento del centrocampo, prestò il fianco al classico tiki-taka delle Furie Rosse, incredule di fronte alla libertà di palleggio e di gioco di cui potettero godere.

Da quel momento, per Ventura e per la Nazionale iniziò il calvario, culminato nell’enorme confusione mostrata nei play-off con la Svezia. Il ritorno al 3-5-2 generò solo un’incredibile quantità di cross (79 tra andata e ritorno), facile preda della coppia centrale scandinava, formata dai colossi Lindelöf e Granqvist. La rigidità tattica, difficilmente sposabile con le caratteristiche dei giocatori a disposizione (lampante l’esempio di Insigne, schierato solo per 14 minuti a Solna da mezzala), e l’assenza di aggiustamenti in corsa hanno forse sancito il superamento dell’idea di calcio di Ventura.

L’aspetto tecnico potrebbe aver inciso anche sull’addio al Chievo, ma non è da sottovalutare la componente emotiva, dal momento che l’ex allenatore del Torino non sembra ancora aver smaltito le scorie dell’esperienza azzurra.

Il rischio è di cancellare completamente il ricordo di una più che onorevole carriera, iniziata quasi quarant’anni fa in Interregionale e impreziosita da sei promozioni (due dall’odierna Serie D, una dalla Serie C1 e ben tre dalla Serie B) e dalla qualificazione in Europa League con il Torino del 2014, con la perla della successiva vittoria al San Mamés di Bilbao (primo e finora unico club italiano a riuscirci).

Il prossimo 14 gennaio Ventura compirà 71 anni. Riuscirà a voltare pagina e a ricominciare da zero?

Stefano Scarinzi
15 novembre 2018

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