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La solitudine dei numeri primi

solitudine-numeri-primiLaboratorio Letteratura e Innovazione, a cura di Chiara Villani.

«I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari. Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. Il secondo pensiero lo sfiorava soprattutto di sera, nell’intreccio caotico di immagini che precede il sonno, quando la mente è troppo debole per raccontarsi delle bugie. In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. […] Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero» .

La solitudine dei numeri primi è un romanzo che fa emergere la singolarità dei due protagonisti, Mattia e Alice, attraverso un concetto matematico che esprime perfettamente l’isolamento percepito di due persone che non hanno capacità comunicative e condivisive.
La metafora scelta da Paolo Giordano, autore dell’opera, è pregnante e lo si comprende immediatamente: Alice e Mattia sono specchio di due anime che si amano profondamente, si sfiorano ma non si incrociano mai, proprio come i numeri primi: «Furono gli altri ad accorgersi per primi di quello che Alice e Mattia avrebbero capito solo molti anni più avanti. Entrarono nella stanza tenendosi per mano. Non sorridevano e i loro sguardi seguivano traiettorie divergenti, ma era come se i loro corpi fluissero con continuità l’uno nell’altro, attraverso le braccia e le dita a contatto. C’era uno spazio comune tra di loro, i cui confini non erano ben delineati, dove sembrava non mancare nulla e dove l’aria pareva immobile, imperturbata» .
Segnati da traumi giovanili, i protagonisti si estromettono da qualsiasi forma di contatto umano e sono incapaci di creare legami. Significativo come sia proprio la solitudine a emarginarli e a unirli tra loro indissolubilmente in un rapporto atipico e profondamente infelice. Per Alice lo shock ha riguardato uno smarrimento in montagna, durante una giornata di sci, causato dalla nebbia. Fuori pista e lontana da tutti, si ruppe il perone rischiando il congelamento: «Il salto non fu poi tanto alto. Qualche metro, appena il tempo di sentire un po’ di vuoto allo stomaco e niente sotto i piedi. Dopodiché Alice era già faccia a terra, con gli sci per aria, piantati belli dritti, che avevano avuto la meglio sul perone» . L’anoressia è la risposta a questo trauma, un disturbo prevedibile se si pensa che il motivo principale dell’allontanamento di Alice fu indotto dall’istinto di liberazione fisiologica in seguito ad una colazione abbondante forzata dal padre.
L’abbandono al parco di Mattia ai danni della sorella prima di una festa, invece, ha significato la perdita definitiva di una bambina che la sua famiglia non ha ritrovato più: «Mattia ebbe la certezza, limpida e inspiegabile, che sua sorella non fosse più lì. Si fermò a pochi metri dalla panca dove Michela era seduta fino a qualche ora prima, tutta intenta a rovinare il suo cappotto. […] Mattia chiamò Michi e si spaventò della propria voce. Lo ripeté più piano. Si avvicinò ai tavoli di legno e poggiò una mano nel punto in cui Michela era seduta. Era freddo come tutto il resto» . In questo caso l’autolesionismo è un richiamo al senso di colpa perenne.

Lo scopo dell’autore è quello di manifestare le problematiche dei protagonisti, legate a ogni singolo aspetto di vita, da quello più semplice a quello più complesso. La solitudine è una parola chiave in questo contesto ed è utile per comprendere meglio lo stato di modelli di una generazione sempre più in difficoltà. Entrambi incapaci di relazionarsi con il prossimo, sviluppano tra loro un rapporto singolare che non riescono a proiettare verso nessun’altro. Un’incompatibilità che fa da esempio e riflette un atteggiamento disagiato verso la società. Giordano anticipa molti degli atteggiamenti comuni che si manifestano nei giovani. Uno dei simboli che ne racchiude tutti i concetti è la tecnologia: ambigua e polivalente, generatrice di solitudine e, allo stesso tempo, determinante nella comunicazione. Generatrice di un meccanismo che ha accelerato il modus vivendi, ma ha portato con sé diversi strascichi.

Un pensiero negativo, dunque, quello dell’autore; un’inquietudine che segue la necessità di denunciare una generale condizione nociva. I protagonisti fuggono verso l’estero: questa esigenza è specchio di un’esigenza che si fa sempre più largo tra i giovani, mal supportati dallo stato e sempre più culturalmente livellati. L’incapacità di trovare spazio e la ricerca di una professione adeguata sono seri problemi che preoccupano le nuove generazioni e suscitano un bisogno dannoso di emersione sull’altro. Questo contesto collettivo è tossico e causa psicosi, Matteo e Alice sono esemplari in questo: la depressione e l’anoressia sono solo due dei molteplici complessi che proliferano negli individui contemporanei e che portano il segno di una condizione infelice.

Una perenne lotta contro il tempo, contro gli altri e contro se stessi.

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