La nuova Mitteleuropa
La riflessione dell’Ambasciatore Guido Lenzi sul “partenariato orientale” pubblicata sul blog di Rubbettino il 25/05/2015.
Il quarto Vertice dell’UE dedicato al “partenariato orientale”, svoltosi la settimana scorsa a Riga, ha suscitato unanimi commenti critici sulla residua capacità europea di tenere testa a Putin. Ennesima indicazione della rapidità con la quale vengono di questi tempi liquidati certi avvenimenti complessi, che le prime impressioni non possono esaurire.
I Ventotto, con i loro partner della ‘Europa di mezzo’, hanno registrato delle formule meno assertive che in passato, mettendo in sordina non soltanto la Crimea ma anche la “prospettiva europea” degli Stati rimasti ai margini dell’allargamento istituzionale europeo; menzionando più prudentemente il loro “diritto sovrano di decidere il livello di ambizione e gli obiettivi che si propongono nei confronti dell’UE”. Apriti cielo! Se ne è voluto frettolosamente concludere che si è trattato di un cedimento alle pretese di Putin, che la ‘politica di vicinato’ dell’Unione è fallita, che l’Unione ha perso la sua influenza e forza di attrazione. Considerazioni sommarie, che non tengono conto della diversità di condizioni che caratterizzano i paesi della residua fascia di paesi rimasti in mezzo al guado, che è tornata a dividere l’Europa.
Se Mosca può ritenere che la storia e la geografia condannino ancora quella nuova ‘Mitteleuropa’ al suo buon volere, tre di essi, Georgia, Moldova e Ucraina guardano pur sempre ad occidente; più refrattari alle impegnative lusinghe occidentali, associatisi all’Unione euroasiatica che Putin contrappone all’UE, sono Bielorussia e Armenia; quest’ultima, poverissima di risorse naturali, e un Azerbaigian gonfio di idrocarburi sono ai ferri corti sulla regione contesa del Nagorno Karabagh. Putin si avvale del limbo politico ed economico nel quale tuttora si trovano per tenerle in ostaggio, alimentandone le crisi, rimaste eufemisticamente ‘congelate’.
Se ne argomenta che Putin ha inferto un’insanabile spaccatura all’interno della fabbrica europea; che, alla loro scadenza di luglio, le sanzioni non verranno rinnovate; che il progetto integrativo ha perso smalto e slancio; che la contraddizione fra allargamento e approfondimento innescata dalla caduta del Muro ha finito col paralizzarlo e rivelarne le contraddizioni interne. Ulteriori adesioni istituzionali all’Unione sono in effetti improponibili. D’altronde, la crisi greca, l’atteggiamento ungherese, gli esiti elettorali britannico, polacco e spagnolo dimostrano la necessità di procedere, forse fisiologicamente, in un modo più flessibile, ad ‘intensità variabili’, meglio corrispondente alle esigenze del momento. Di questo, non delle anacronistiche imposizioni di Putin, bisognerebbe tener conto.
Quel che è certo è che, pur esigente, l’impresa europea non è mai stata né può oggi diventare un interlocutore assertivo, al suo interno né a maggior ragione verso l’esterno. Il braccio di ferro al quale Putin la sfida è un gioco al quale l’Europa non partecipa più. Rimane da dimostrare che l’attuale Cremlino riesca a rimetterlo in auge, a danno della fascia di paesi nel suo ‘estero vicino’. L’Europa unita continuerà comunque a rappresentare l’alternativa.
You must be logged in to post a comment Login