Il nostro piagnisteo sul conflitto ucraino
La riflessione dell’Ambasciatore Guido Lenzi sul conflitto ucraino pubblicata sul blog di Rubbettino il 7/04/2015.
Sempre più evidente è il cronico autolesionismo della civiltà occidentale, di matrice umanistica, che insiste nell’accollarsi la responsabilità di tutti i mali nel mondo. Contribuendo implicitamente a renderli insolubili, invece di lenirli. Non soltanto al cospetto dell’estremismo violento in Medioriente, ma nel cuore stesso dell’Europa. La questione ucraina ne è la persistente, più deplorevole dimostrazione. Il resoconto che Michele Marsonet fa su questo sito delle considerazioni espresse nel volume di Eugenio Di Rienzo appena pubblicato da Rubbettino ne è l’ennesima espressione.
Continuare ad attribuire all’espansionismo della NATO la responsabilità primaria del comportamento di Putin rappresenta un corto circuito mentale che fa piazza pulita del ben più articolato, seppur contraddittorio, svolgimento degli eventi nel post-guerra fredda. Che l’autore delle seguenti rinnovate annotazioni ha avuto la ventura di seguire passo dopo passo, da vicino, con le ripetute delusioni professionali che ne sono scaturite.
Individuare il vizio di origine nel mancato rispetto dell’intesa di non allargare l’ambito della NATO trascura il fatto che tale impegno fu preso con l’Unione Sovietica, prima che la sua dissoluzione alterasse radicalmente la situazione politico-strategica. Il torto dello schieramento euro-americano è stato semmai quello di aver preso alla lettera le dichiarazioni di Gorbaciov e poi di Eltsin sulla ‘ritrovata comune civiltà europea’: registrate dall’OSCE nella Carta di Parigi del 1990, subito dopo la caduta del Muro, e nella Dichiarazione sulla Sicurezza europea adottata ad Istanbul nel 1999, subito prima dell’avvento di Putin (che le ripudiò subito entrambe). Mosca fu comunque subito accolta in tutti (dicesi tutti) i gruppi ristretti destinati a rimettere assieme nuove forme di collaborazione internazionale; nei quali rimase però silente, passiva, manifestamente incapace di articolare le proprie pretese.
La prima lesione accadde, in realtà, in occasione della crisi in Kosovo, che Mosca considerò un’intrusione occidentale nella zona di influenza serba, sua antica riserva. Incurante della ben diversa impostazione e gestione internazionale adottata in tale circostanza, il Cremlino ne invocò poi il precedente per intervenire unilateralmente in Georgia nel 2008. E’ alla scarsa reazione, sostanzialmente accondiscendente, dell’Occidente che si possono far risalire gli appetiti revisionistici in Ucraina.
La lunga concatenazione degli eventi indica che l’espansione della NATO rappresenta per Mosca un utile spauracchio propagandistico, mentre (chi l’avrebbe mai detto!) è piuttosto l’allargamento dell’Unione europea a suscitare maggiori preoccupazioni di Putin. Come dimostra incontrovertibilmente la sua pretesa che Kiev ne rifiutasse l’‘accordo di associazione’. Continuare ad affermare che Piazza Maidan è stata il frutto di una cospirazione occidentale equivale a non vedere che il giovane tunisino immolatosi col fuoco, Piazza Tahrir, Gezi Park, e quel che ne è conseguito, sono le dimostrazioni di come la Storia sfugga ormai al controllo degli stessi tanto deprecati opposti servizi segreti.
Quel che è più grave è che, piuttosto che far valere le sue legittime preoccupazioni, il nuovo Zar del Cremlino si faccia giustizia da sé. Rivendicando una civiltà ‘euroasiatica’ contrapposta a quella ‘euroatlantica’ che i suoi predecessori avevano evocato. Trincerandosi dietro ad un preteso ‘scontro di civiltà’ che continuerebbe a dividere il nostro continente. Rifugiandosi all’ombra dell’ONU, non per consolidarne le funzioni di supremo organo legittimante, bensì per potervi meglio esercitare il proprio diritto di veto. Che non esercitò, benevolmente salvo a lamentarsene poi, in occasione dell’intervento in Libia. Che deve oggi ponderare nei confronti dell’accordo raggiunto con Iran.
È sul piano globale, fuori dalla nostra troppo affollata scena europea, che la Russia deve essere ricondotta per superare le proprie insicurezze. Alimentare il suo cronico, infondato, vittimismo non può certo facilitarne la guarigione. A suo, oltre che nostro, danno.
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