Gli Stati Uniti d’Europa: Utopia o l’Europa del domani?
Relazione di Sabrina Boni * alla giornata di studio dell’Associazione Prospettiva Europea al Festival d’Europa, Firenze 10 Maggio 2015
Nel 1946 Churchill tenne un altro famoso discorso all’Università di Zurigo, durante il quale perorò la causa degli “Stati Uniti di Europa”, esortando gli Europei a voltare le spalle agli orrori del passato e a guardare al futuro. Dichiarò che l’Europa non poteva permettersi di continuare a covare astio e spirito di vendetta per le ferite passate e che il primo passo per ricreare la “famiglia dei popoli europei” doveva iniziare dal consolidamento dei valori quali, la giustizia, compassione e libertà per “creare” una sorta di Stati Uniti d’Europa. In assenza di proibizioni, è possibilissimo procurarsi posizioni che rappresentino un danno per altri ed un vantaggio per sé e affinchè un tale abuso accada, non è necessario supporre una particolare perversa volontà di sopraffazione; basta che uno stato pensi che suo dovere sia, non già di provvedere al benessere di tutti gli uomini, ma a quello dei suoi cittadini. Lo stato nazionale è costruito appunto a questo scopo; esso è organicamente inadatto a vedere gli interessi di tutti gli uomini. Mille e una occasione si presenterebbero ad ogni istante, nelle quali l’interesse di particolari gruppi geografici sarebbe meglio favorito danneggiando anziché rispettando l’interesse di tutti gli altri paesi. Churchill asseriva che la restaurazione democratica nazionale poggerebbe perciò, anche nella migliore delle ipotesi, su basi quanto mai precarie e che l’eliminazione di questi mali non può perciò consistere in altro che nella formazione di istituzioni che elaborino ed impongano una legge internazionale, la quale impedisca il proseguimento di fini giovevoli solo ad una nazione, ma dannosi alle altre. Questa soluzione appare lapalissiana, ogni volta che si tratti dell’ordine interno di una nazione; ma, non appena si tratta dell’ordine internazionale, agli uomini della nostra epoca nazionalista sembra strana, utopistica, violentatrice della più profonda ed immutabile natura umana, e ci si ingegna a formulare sofismi per esimersi dall’affrontarla. Ma quest’ordine può anche essere creato in modo più conforme alle nostre esigenze fondamentali, mediante un ordinamento federale, il quale, pur lasciando a ogni singolo stato la possibilità di sviluppare la sua vita nazionale nel modo che meglio si adatta al grado e alle peculiarità della sua civiltà, sottragga alla sovranità di tutti gli stati associati i mezzi con cui possono far valere i loro particolarismi egoistici, crei ed amministri un corpo di leggi internazionali al quale tutti egualmente debbono essere sottomessi .I poteri di cui l’autorità federale deve disporre, sono quelli che garantiscono la fine definitiva delle politiche nazionali esclusiviste. Perciò la federazione deve avere l’esclusivo diritto di reclutare e di impiegare le forze armate (le quali dovrebbero avere anche il compito di tutela dell’ordine pubblico interno); di condurre la politica estera; di determinare i limiti amministrativi dei vari stati associati, in modo da soddisfare alle fondamentali esigenze nazionali e di sorvegliare che non abbiano luogo soprusi sulle minoranze etniche; di provvedere alla totale abolizione delle barriere protezionistiche ed impedire che si ricostituiscano; di emettere una moneta unica federale; di assicurare la piena libertà di movimento di tutti i cittadini entro i confini della federazione; di amministrare tutte le colonie, cioè tutti i territori ancora incapaci di autonoma vita politica. Per assolvere in modo efficace a questi compiti, la Federazione deve disporre di una magistratura federale, di un apparato amministrativo indipendente da quello dei singoli stati, del diritto di riscuotere direttamente dai cittadini le imposte necessarie per il suo funzionamento, di organi di legislazione e di controllo fondati sulla partecipazione diretta dei cittadini e non su rappresentanze degli stati federati. Questa, in scorcio, è l’organizzazione che si può chiamare l’organizzazione degli Stati Uniti d’Europa. Data la preminenza che l’Europa ha tuttora nel mondo, come centro di irradiazione di civiltà, e dato che è stata sempre, con le sue lotte intestine, l’epicentro di tutti i conflitti internazionali, la definitiva sua pacificazione, nel quadro delle istituzioni federali, significherebbe il più grande passo innanzi verso la pacificazione mondiale, che possa essere fatto nelle attuali circostanze.
…..Come asserisce Altiero Spinelli ” Gli Stati Uniti d’Europa ….” affinchè questo nuovo ordinamento venga realizzato, occorre vedere se intorno ad esso, a suo sostegno permanente, ci sia da attendersi che si schierino, nella civiltà moderna, imponenti forze vitali, non destinate a dissolversi rapidamente; tali che, per farsi valere, sentano di aver bisogno di quell’ordinamento e perciò disposte ad agire per mantenerlo in vigore. Sarebbe inutile costruire un edificio che nessuno fosse poi interessato a conservare. Qui si vogliono vedere solo se la federazione, qualora riesca ad essere creata, sia soggetta a restare una faccenda interessante solo pochi dottrinari politici, e possa invece diventare veramente un bene pubblico, sentito come tale da larghe masse. Se diamo uno sguardo nel campo della cultura europea, vediamo che larghissimi strati intellettuali. Ma la cultura europea ha da molto tempo superato i gretti limiti nazionali, e la sua fioritura ha un carattere cosmopolitico. Lo strato più elevato della cultura europea è al di là di qualsiasi nazionalismo, ed è anzi condannato ad isterilirsi e perire se l’Europa procederà ancora sulla via dei nazionalismi, poiché questo corso gli toglierebbe l’alimento del libero scambio mondiale delle idee, e gli impedirebbe di esercitare la sua naturale funzione di indicare agli strati meno colti le vie dell’elevazione sociale economica e politica. La federazione europea sarebbe la garanzia del cosmopolitismo intellettuale, e della possibilità, per l’alta cultura, di esercitare la sua funzione di guida. Altiero Spinelli, asserisce che anche nel campo della vita economica sarebbe stata inevitabile una forte difficoltà iniziale, destinata però a venir meno col tempo, da parte di coloro che traggono i guadagni dalle restrizioni economiche nazionali, da parte cioè dei dirigenti delle industrie , e di quegli strati di lavoratori agricoli e industriali i cui guadagni sono elevati grazie ai vari protezionismi. Valido sostegno all’unità fornirebbero invece quelle forze economiche paralizzate nelle loro iniziative dai restrizionismi nazionali, cioè quegli imprenditori che non contano, per far fruttare le loro imprese, su sussidi e su protezionismi, ma sull’esistenza di mercati grandi e ricchi, ed i lavoratori desiderosi di riottenere la piena libertà di movimento. Così già dai “Padri” fondatori dell’Unione Europea , quale siamo pervenuti di recente, si individuano già tutti gli elementi fondamentali della conclusione auspicata stessa di tale processo di integrazione europea , quale fine quello di realizzare una completa unione attraverso Stati Europei federati quali Stati Uniti d’Europa. Concludendo questa rapida rassegna, possiamo dire che la federazione europea non è solo un ordinamento utile in astratto, ma che vi sono nella società odierna, ed ancor più per l’avvenire, forze ed interessi sufficientemente ampi e solidi per mantenerlo in vita e farlo funzionare in modo efficace. L’ostacolo è nella forza d’inerzia che spinge a proseguire secondo le direzioni già avviate; ordinamenti giuridici statali obsoleti e non armonizzati allo sviluppo economico sociale e politico dei singoli stati nazionali, , discipline, abitudini, organizzazioni, tradizioni, etc…Da quanto si è detto appare chiaro che la difficoltà maggiore da superare per riuscire, non è l’esistenza di vecchie tradizioni , ma la difficoltà maggiore è nella formazione del movimento federalista europeo, senza di esso la straordinaria congiuntura delle condizioni favorevoli si dissolverebbe inutilizzata. Quel che si richiede agli attivi federalisti è molto più di quel che si richiede alle masse mobilitabili a favore dell’unità europea. Occorre infatti che intendano, sì, il valore delle esigenze di indipendenza nazionale, di libertà politica, di eguaglianza sociale, ma occorre anche che si immunizzino mediante una seria autocritica, di tutti i feticci, nazionali, cioè dei tradizionali insufficienti modi con cui si è finora cercato di soddisfare quelle esigenze di reale ed efficace integrazione europea e consolidamento del benessere sociale e civile dei cittadini europei, quali parte attiva di un’unica comunità. Occorre una presa maggiore sulla società e pubblici decisori per un’unità di indirizzo politico condiviso di reale integrazione europea, verso obbiettivi comuni di reale condivisione e “mutuo” soccorso, per una crescita economica sostenibile e una lotta alle disparità sociali. Certo i problemi dell’Unione Europea , soprattutto nell’attuale contesto, di crisi economica in parte superata, talvolta dell’accentuarsi di rivendicazioni nazionali esasperate, da problemi di equa ripartizione e distribuzione dei redditi e delle risorse, della coesistenza di un’Europa così detta a due velocità, con la presenza di Paesi con crescita economica più prospera ed altri con estrema difficoltà che combattono ancora per scongiurare recessioni e blocco della crescita economica,il percorso , tanto auspicato anche come accennato precedentemente, dai “Padri fondatori ” dell’Unione Europea, verso una federazione degli Stati Uniti d’Europa, sembra quasi arrestarsi. Le differenze che permangono all’interno dell’UE. L’Unione Europea così come la conosciamo oggi è il frutto dell’accelerazione del processo di integrazione, soprattutto economica,tra gli Stati membri avvenuto negli ultimi vent’anni. A partire dagli anni Novanta del Novecento, infatti, sono state abolite le barriere doganali tra i diversi Paesi. È stata consentita la libera circolazione delle persone e sono state eliminate le frontiere. Nella maggior parte degli Stati dell’Unione Europea circola l’euro, la moneta che ha sostituito le valute nazionali e che è quasi il simbolo del cammino di unificazione dell’Europa. Allo stesso tempo, però, è mancato un cammino di integrazione politica tra gli Stati dell’Unione Europea e anche a livello economico e sociale persistono grosse differenze tra le diverse aree dell’Europa. Questa mancata unificazione politica e queste diversità sono emerse in maniera netta con la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008. Ancora di più i limiti dell’integrazione europea sono divenuti evidenti con l’esplosione dei problemi di debito pubblico in alcuni Stati (Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia e, soprattutto,Grecia – a partire dal 2010. Di fronte a queste difficoltà i governi dei diversi Stati hanno faticato a concordare politiche comuni e la Banca Centrale Europea ha dovuto fare i conti con i limiti imposti alla sua azione dagli accordi comunitari. Per queste ragioni l’Unione Europea si è dimostrata spesso lenta, indecisa nelle azioni da intraprendere per fronteggiare la crisi. Allo stesso tempo è diventata sempre più evidente la disparità tra i diversi Stati membri dell’Unione ed è apparso chiaro come spesso tra loro vi siano interessi contrastanti. Abbiamo un’Europa a più velocità. Nonostante la crisi, infatti, la Germania e tutti i Paesi che ruotano attorno al suo asse economico , quali gli Stati scandinavi, i Paesi Bassi, l’Austria e alcune delle realtà più avanzate dell’Europa dell’Est, hanno conosciuto una discreta crescita economica, che ha avuto un rallentamento solo nel 2012. A favorire il buon andamento dell’economia tedesca, in particolare, sono state le esportazioni verso l’estero di tecnologie avanzate. Più difficile è la situazione economica della Francia, altra nazione fondamentale nel processo di costruzione dell’Europa unita. L’economia francese vanta un buon andamento dei consumi interni, ma è gravata da un debito pubblico in costante aumento. Più difficile è la situazione in quella che viene considerata la periferia d’Europa: Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia.Si tratta di Paesi che hanno sofferto più di altri della crisi economica e finanziaria di questi ultimi anni. Prima l’Irlanda e poi il Portogallo hanno dovuto, per esempio, ricorrere ad aiuti economici di salvataggio messi a disposizione della BCE e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). Sono Paesi con sistemi bancari fragili e molto dipendenti dalla Banca Centrale Europea. Spagna e Italia hanno registrato un forte aumento del debito pubblico nel corso del 2011 e del 2012. In questi due Paesi la situazione è stata affrontata principalmente con una politica di contenimento dei costi e di aumento della tassazione. A rendere più difficile la situazione spagnola e italiana è stata anche la crescita economica molto ridotta, a cui si aggiunge il conseguente aumento della disoccupazione. In più la concorrenza di Paesi emergenti come la Cina, l’India,ma anche delle economie dell’Est europeo, ha contribuito ad aggravare la situazione italiana, che ora finalmente sta lasciando alle spalle un periodo di recessione, avviandosi a programmi e processi di rapide riforme interne in parte concluse e altre ancora in corso, che hanno riguardato il mercato del lavoro , il sistema fiscale e riforme costituzionali , incentivandola ripresa di settori industriali e produttivi, incominciando anche a ridurre l’alto tasso di disoccupazione. Un caso a parte, per la sua drammaticità a livello sociale ed economico, è rappresentato dalla Grecia. Dal 2009 lo Stato ellenico ha visto il suo debito pubblico crescere a dismisura .Oggi la Grecia è una Paese che vive un dramma sociale, con una forte disoccupazione (nel 2011 era del 17,7%), con forti tensioni all’interno della società, che spesso sfociano in manifestazioni. A conclusione di tutto questo, i problemi da affrontare per un percorso di integrazione totale dei paesi europei , quale può essere Gli Stati Uniti d’Europa è meritorio continuare ad attuarlo, proprio come risoluzione ulteriore ai problemi europei .
*Ph. D Sabrina Boni
Economia, Management, Organizzazione
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