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La Turchia tra Oriente Mussulmano e Occidente Europeo

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Primo Seminario del terzo ciclo promosso dall’Associazione Prospettiva Europea. Roma, Rubbettino Editore, 28/11/2013.
La sintesi di Daria Forlenza

Le sfide che pone oggi la Turchia sono molteplici. In primo luogo è necessario un mutamento nell’atteggiamento culturale identitario che coinvolge sia i popoli europei che i turchi. Occorre che i Turchi si aprano alla cultura europea in virtù dei rapporti storici, politici e diplomatici che contraddistinguono da tempo la nazione anatolica e i Paesi europei, e siano stimolati positivamente dalla ripresa delle trattative tra la Turchia e l’Unione Europea. Ma è soprattutto l’Europa, continente dalle radici cristiane, che deve eliminare qualsiasi chiusura in senso protezionistico della propria cultura identitaria al fine di trarre vantaggio dall’avvicinamento storico-culturale di due tradizioni millenarie. Un arroccamento sulle rispettive posizioni causerebbe sicuramente effetti negativi per gli uni e per gli altri sotto tutti i punti di vista. E’ davvero utile abbracciare posizioni estreme che pongono problematiche conflittuali tra le due parti e all’interno di esse? La globalizzazione pone il continente europeo e la regione anatolica di fronte a nuove prospettive che evidenziano la necessità di costruire network e alleanze superando ogni incertezza e risolvendo le questioni più spinose. In secondo luogo, la crescita economica turca sprona i Paesi europei, soprattutto quelli mediterranei, ad accogliere con favore il Paese anatolico tra i propri membri. D’altra parte, anche la Turchia potrebbe vedere nella possibile adesione all’UE un’occasione per raggiungere una volta per tutte una forte e duratura stabilità finanziaria. La necessità di fronteggiare le economie dei Paesi BRICS e, più in generale, quelle di tutti i paesi emergenti pone un’inevitabile via d’uscita: l’integrazione. Esiste un’alternativa? No, afferma il Prof. Domenico Fracchiolla, docente di Dinamiche della Globalizzazione della LUISS. I capitoli aperti e chiusi della trattativa Turchia-UE hanno già dimostrato di risolvere positivamente ogni questione affrontata. Inoltre, basti pensare ai cambiamenti positivi che la condizionalità, quella buona, potrebbe apportare al rispetto dei diritti umani e del dissenso politico. Inoltre, come sottolineato più volte anche dal Prof. Paolo Wulzer, docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università “L’Orientale” di Napoli, un accordo parallelo tra la Turchia e l’UE sarebbe un tragico errore: la Turchia o entra o non entra in Europa. Un mero trattato di cooperazione, al di fuori del Trattato di Lisbona, avrebbe il sapore di un contentino per l’esecutivo turco, correndo il rischio di cadere nell’errore dei Paesi scandinavi nel dopoguerra, allorquando Danimarca e Norvegia si opposero all’entrata della Turchia nel Patto Atlantico perché lo ritenevano essere un Paese né atlantico né democratico e Gran Bretagna e Francia proposero la stipula di un patto parallelo alla Nato a metà tra un accordo di cooperazione e un patto di non belligeranza. L’Unione corre il rischio che la Turchia scivoli verso altri orizzonti e, di conseguenza, altre sfere d’influenza, come sta accadendo per esempio in Ucraina. Quale sarebbe, dunque, la migliore soluzione per resistere alla concorrenza delle altre potenze economiche, in particolare la Cina, che sta conquistando i mercati di tutto il mondo travolgendo le economie indigene? L’entrata nell’Unione Europea della Turchia rafforzerebbe l’economia del continente e della regione anatolica e costituirebbe una valida soluzione per i problemi causati dall’attuale crisi, ma rinsalderebbe anche quei valori profondi dei popoli europei e del popolo turco di collaborazione diplomatica e culturale. Infine, come si risolverà il perenne dissidio diplomatico relativo alla questione di Cipro? Tutti gli studiosi e i funzionari europei sperano di raggiungere una soluzione definitiva e duratura.

Le foto del Seminario

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