¡Y viva España!
Champions League, Europa League, Supercoppa Europea e Mondiale per Club: negli ultimi cinque anni 18 volte su 19 sono stati conquistati da squadre spagnole. Un dominio che ha radici lontane e che sembra difficilmente intaccabile.
Madrid “caput mundi”. La locuzione latina, coniata nel 61 d.C. da Marco Anneo Lucano nella sua Pharsalia per definire il primato di Roma, ben si addice alla capitale spagnola e alla sua supremazia nel mondo del calcio.
Real vincitore della Champions League per la terza volta consecutiva, la quarta nelle ultime cinque edizioni, la tredicesima in assoluto, di fatto il doppio della prima inseguitrice nell’albo d’oro, il Milan, fermo a sette da undici anni e alle prese con le beghe del fair play finanziario, che rendono complicato immaginare un immediato ritorno ai massimi livelli.
Atlético vincitore dell’Europa League per la terza volta in assoluto e al secondo posto nell’albo d’oro della competizione con Juventus, Inter e Liverpool e alle spalle del solo Siviglia, in testa con cinque trionfi.
I numeri non sbagliano mai. Teorema che trova ulteriore conferma se si allarga il discorso all’ultimo quinquennio e all’intero movimento spagnolo. Quattro volte il Real e una il Barcellona in Champions. Tre volte consecutive il Siviglia e quest’anno l’Atletico in Europa League. Unica eccezione il Manchester United di José Mourinho, vincitore dell’ex Coppa UEFA nel 2017. Senza dimenticare che le due squadre di Madrid si sono contese ben due volte la coppa dalle “grandi orecchie” nell’ultimo atto della manifestazione e quest’estate si ritroveranno a Tallinn per la Supercoppa Europea, anch’essa proprietà esclusiva di formazioni spagnole dal 2014, con quattro “derby” su cinque edizioni.
Risultati strepitosi, sintomo dell’ottimo stato di salute di cui gode tutto il calcio iberico. La testimonianza è data dal Ranking UEFA, dove la Spagna è in vetta con un margine enorme sulle più vicine inseguitrici. Due club nei primi due posti del Ranking, tre nei primi quattro, quattro nei primi sei. Un’egemonia di cui si fa fatica a vedere la fine.
Progettualità, chiarezza, valorizzazione tecnica ed economica, idee di gioco ben definite: ecco alcuni dei capisaldi che servono a spiegare il gap tra i top team spagnoli e il resto d’Europa.
Fattori alla base anche dei successi della Nazionale. La Roja, a lungo ritenuta un’incompiuta, dopo il disastroso Europeo del 2004, è ripartita sotto la sapiente guida del compianto Luis Aragonés, perfetto nell’inserimento dei tanti giovani fenomeni della generazione dorata degli anni ’80, anche se ciò ha comportato l’esclusione di Raúl González Blanco, bandiera delle Furie Rosse e del Real Madrid.
Squadra forte, giovane e con una precisa identità di gioco. Così è nata una delle nazionali più forti di sempre. L’Europeo del 2008 come primo passo di un ciclo strepitoso, coronato dal primo storico Mondiale conquistato in Sudafrica due anni dopo e dalla riconferma continentale di Kiev nel 2012. Questi ultimi due successi giunti sotto l’egida di Vicente del Bosque, due volte campione d’Europa sulla panchina del Real Madrid e figura storica del calcio spagnolo, bravissimo nella gestione dei giocatori delle Merengues e del Barcellona, acerrime e polemiche rivali sul palcoscenico nazionale e continentale, e nell’applicare i dettami imposti da Pep Guardiola al suo Barça.
Il tiki-taka, dunque, come base dei successi delle Furie Rosse. I fuoriclasse come perfetti esecutori di questo particolare stile di gioco. Figure storiche come Casillas, Puyol, Xavi, Xabi Alonso e Fernando Torres, a cui, nel corso degli anni e delle competizioni, si sono affiancati e succeduti giocatori del calibro di Sergio Ramos, Piqué, Busquets, Iniesta, Fabregas, Silva e Villa, solo per citarne alcuni.
E la sensazione è che la “new generation”, guidata dal quattro volte campione d’Europa Isco, sia pronta per continuare la tradizione vincente dell’ultimo decennio. Non a caso, dal 2011 a oggi la Nazionale Under 21 ha vinto due volte l’Europeo di categoria, chiudendo al secondo posto nell’edizione dello scorso anno.
Nazionale e club. Un binomio saldo e vincente.
Ma se il dominio della Roja dura da circa un decennio, quello dei club sta per raggiungere la maggiore età.
“Zidanes y Pavones“, “Masia”, “Cholismo”. A cavallo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo si sono alternate filosofie diverse, ma che hanno centrato il medesimo obiettivo: la vittoria.
Figo nel 2000, Zidane nel 2001, Ronaldo nel 2002, Beckham nel 2003, Owen nel 2004, Robinho nel 2005, Kakà, Benzema e, soprattutto, Cristiano Ronaldo nel 2009, Bale nel 2013. Nelle due ere targate Florentino Pérez, a Madrid si sono visti “Zidanes”, ovvero i fuoriclasse, a grappoli, forieri di titoli e introiti, con redditizie tournée oltreoceano e un’incessante vendita di maglie, che ha fatto schizzare il fatturato dei Blancos vicino ai 700 milioni.
Anche i “Pavones”, ossia i giovani provenienti dalla “Cantera”, che nei primi anni 2000 erano sembrati una semplice trovata pubblicitaria, nelle ultime stagioni hanno trovato sempre più spazio vicino ai “Galácticos 2.0”. Guardando la rosa attuale delle Merengues, spiccano i nomi di Dani Carvajal, Lucas Vázquez e Marco Asensio.
Le giovani promesse cresciute in casa, però, sono state da sempre il fiore all’occhiello del Barcellona.
Il punto di riferimento per tutti i ragazzi nell’orbita blaugrana è sempre stata la “Masia”, dal 1979 divenuta anche residenza di questi fortunati adolescenti.
È questo il luogo in cui si sono formati e preparati al possesso palla, al movimento, alla velocità di esecuzione e di pensiero negli spazi stretti. Stesso schema della prima squadra, zero assilli di risultato e possibilità di sbagliare. Furono questi i precetti dettati da Johan Cruijff al suo arrivo a Barcellona nel 1988. I risultati gli diedero ragione: quattro campionati consecutivi, una Coppa di Spagna, una Coppa delle Coppe, ma, soprattutto, la prima Coppa dei Campioni della storia degli azulgrana. Erano gli anni del celebre “Dream Team”, composto da stelle come Hristo Stoičkov e Romario e in cui brillava anche il genio di Pep Guardiola.
Sarà proprio l’attuale allenatore del Manchester City, oltre un decennio dopo l’addio di Cruijff, a perfezionare ulteriormente le norme dell’olandese.
Tiki-taka, percentuali bulgare di possesso palla, dosi abbondantissime di tecnica e la figura del falso nueve. “Il nostro unico attaccante è lo spazio”. Frase storica di Pep che delinea perfettamente la sua idea di calcio.
Cinque anni passati all’ombra delle Ramblas, di cui uno, fondamentale, nel Barcellona B: tre campionati consecutivi, due Coppe di Spagna, due Champions League e due Mondiali per Club.
Composto quasi interamente da giocatori cresciuti nella “Cantera”, il Barcellona di Guardiola verrà ricordato come una delle formazioni più forti della storia.
Non è un caso che, dopo il triplete del 2015, il secondo nell’arco di sette stagioni, il naturale e progressivo invecchiamento della generazione dei fenomeni, unito al declino della “Masia”, non più fucina continua di talenti, abbia causato a Messi e compagni tre eliminazioni consecutive ai quarti di finale di Champions League.
Non avrà la storia, il palmarès, il fascino e il budget illimitato delle due superpotenze, ma dalla sua l’Atlético Madrid può contare su un’organizzazione di gioco e una fase difensiva seconde a nessuno.
Merito di Diego Pablo Simeone, bandiera dei Colchoneros da calciatore e in sella da dicembre 2011. Dopo pochi mesi arriva l’Europa League, conquistata anche nel 2010 con Quique Sánchez Flores.
Ma è negli anni successivi che il “Cholo” compie il suo vero capolavoro. La Coppa del Re soffiata al Real di Mourinho nel 2013 come antipasto della storica Liga vinta nell’annata successiva, diciotto anni dopo l’ultimo successo dei Rojiblancos. Non solo Spagna, però, dal momento che, sotto la guida di Simeone, l’Atletico ha raggiunto due volte la finale di Champions, perdendo in entrambi i casi con i “cugini” del Real.
Nel 2014 l’urlo in gola fu strozzato a pochi secondi dal termine da Sergio Ramos, mentre nel 2016 a spezzare i sogni fu solo la lotteria dei rigori.
Tredicesimo fatturato, ma secondo posto nel Ranking UEFA, ulteriormente rafforzato dalla recente vittoria dell’Europa League, la terza negli ultimi otto anni.
Ennesima testimonianza di come, spesso, le idee e il lavoro contino più dei soldi.
“Hala Madrid”, “Cant del Barça”, “Marcha Real”. Negli ultimi anni sono questi gli inni più diffusi negli stadi d’Europa e del mondo durante le premiazioni. L’impressione è che in futuro da grandi successi possano trasformarsi in veri e propri tormentoni.
Stefano Scarinzi
30 maggio 2018
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