Una vita da precario? Una piccola speranza arriva dall’Ue
La riflessione di Loredana Orlando sulle condizioni di precariato che caratterizzano in Italia soprattutto la fascia d’età dei 30/40 anni e sulle nuove prospettive che provengono dallo scenario europeo.
Una vita da precario. Così potrebbe essere sintetizzata la condizione lavorativa di una parte considerevole della popolazione italiana. In particolare, la fascia di età tra i 30 e i 40 anni è quella cha ha maggiormente subito le conseguenze delle riforme politiche in materia di occupazione apportate negli ultimi anni. Una generazione definita dagli esperti come “lost generation”, ossia la “generazione perduta” perché fagocitata dalle conseguenze della flessibilità, comun denominatore delle cosiddette politiche riformiste tradottesi, poi, in perenne precariato.
Una generazione che ha attraversato il passaggio dal contratto di collaborazione a progetto (co.co.pro.) al contratto di collaborazione coordinata continuativa (co.co.co.), rimanendo nel limbo di una flessibilità lavorativa lungi dal normalizzarsi in condizioni professionali stabili. Stabilità preclusa a fronte di un precariato le cui conseguenze potrebbero condurre ad una grave una crisi sociale di quella generazione di giovani lavoratori che, tra qualche anno, si ritroverà definitivamente esclusa dalla possibilità di convertire il precariato in contratti di lavoro stabili.
Certamente occorre distinguere tra situazioni lavorative in merito al rapporto di lavoro tra committente e collaboratore. Realtà aziendali strutturate garantiscono comunque le tutele e le condizioni assicurative previste dalla normativa vigente. Tuttavia, nel frammentato panorama del lavoro flessibile esistono realtà societarie nelle quali vengono disattese le tutele e le garanzie necessarie per lo svolgimento dell’attività lavorativa dei collaboratori. La sottoscritta, per esempio, da tempo lavora presso una grande e solida realtà aziendale dove è tutelata e garantita nello svolgimento della propria attività lavorativa; mentre, sempre per esperienza personale, ben diverso è stato il trattamento subito dalle piccole società di servizi, la cui attività lavorativa si svolge prevalentemente da casa attraverso i sistemi informatici gestiti dalla società di turno alla quale corrisponde, tuttavia, la minore se non la quasi totale assenza di tutele e sicurezza per il lavoratore.
Da un’esperienza personale è possibile affrontare, in realtà, un discorso generale che investe un’ampia fascia di lavoratori subordinati e autonomi, la quale svolge la propria attività lavorativa in condizioni non sufficientemente tutelate e coperte dai sistemi di sicurezza sociale. Proprio il concetto di flessibilità ha prodotto come conseguenza immediata il continuo proliferarsi di nuove occupazioni le cui figure professionali non sono ancora totalmente riconosciute, come per esempio i lavoratori dell’economia digitale. In tal senso, è stata recepita in ambito europeo la necessità di adeguare dal punto di vista normativo quella “folla” di lavoratori con contratti atipici la cui condizione di incertezza normativa li pone a rischio in termini di protezione sociale.
La Commissione europea ha avanzato una Proposta direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea (21 dicembre 2017), allo scopo di stabilire “nuove norme minime per garantire che tutti i lavoratori, inclusi quelli che hanno contratti atipici, beneficino di maggiore prevedibilità e chiarezza in materia di condizioni di lavoro”. In un contesto come quello attuale dove le possibilità di occupazione, seppur precario, sono in continua espansione urge il riconoscimento dei diritti di base per i lavoratori con contratti non standard. Nel concreto, la proposta della Commissione intende integrare “nell’ambito di applicazione della direttiva, forme di lavoro subordinato che al momento sono spesso escluse come i lavoratori domestici, i lavoratori a tempo parziale marginale o quelli con contratti di brevissima durata, ed estendendola a nuove forme di lavoro subordinato come i lavoratori a chiamata, i lavoratori pagati a voucher e i lavoratori tramite piattaforma digitale”.
Tale proposta dovrà prima passare al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, per poi essere attuata dagli Stati membri tramite la legislazione o gli accordi collettivi tra le parti sociali. Per quanto riguarda l’Italia, la ricezione della proposta europea si prospetta di difficile realizzazione. L’attuale incomunicabilità tra il governo nazionale e la nomenclatura europea rischia di inasprire i rapporti già tesi, procrastinando sine die un concreto intervento migliorativo delle condizioni lavorative dei giovani precari italiani.
Articolo pubblicato sulla rivista Merqurio
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