The Special End
José Mourinho è stato esonerato dal Manchester United, chiudendo nel peggiore dei modi trenta mesi difficili e contraddittori alla guida dei Red Devils.
“José Mourinho leaves United”: così si apre il comunicato ufficiale con cui il Manchester United ha dato notizia della separazione, formalmente consensuale, consumatasi con Mourinho. La realtà, invece, è che si è trattato di un esonero, da tempo nell’aria e maturato dopo l’ennesima sconfitta stagionale, il 3-1 subito ad Anfield dal Liverpool del rivale Jürgen Klopp, che ha fatto precipitare i Red Devils a 11 punti dalla zona Champions quando non ancora si è giunti al giro di boa.
Finisce, quindi, durante il terzo anno il rapporto mai del tutto decollato tra lo “Special One” e il club in testa all’albo d’oro della Premier League. Un percorso iniziato il 27 maggio 2016 con la speranza che Mou potesse essere l’erede di Sir Alex Ferguson, anche sulla scia del buon rapporto tra i due, come mostrato durante il primo triennio del portoghese sulla panchina del Chelsea, quando Blues e Red Devils erano le due maggiori potenze d’Oltremanica.
“Io come Ferguson? Direi che sono pronto per i prossimi 15 anni. Qui al Manchester United? Sì, perché no?”. Era l’estate del 2017 quando il tecnico di Setúbal rilasciava questa dichiarazione, pochi mesi dopo aver conquistato l’Europa League, la prima nella storia dello United, che aveva chiuso il suo primo anno sulla panchina dell’Old Trafford.
Annata davvero particolare, poiché, se da una parte Mou ha più volte rimarcato i tre titoli vinti, dall’altra molti hanno voluto sottolineare che la conquista dell’ex Coppa UEFA avesse reso appena sufficiente una stagione iniziata con spese e attese consistenti, ma proseguita con un mediocre sesto posto in Premier. Le vittorie in Community Shield e Coppa di Lega di certo non sarebbero bastate a giustificare i quasi 20 milioni percepiti dallo “Special One” e i 185 milioni investiti per i soli cartellini di Eric Bailly, Henrikh Mkhitaryan e, soprattutto, Paul Pogba, che nell’estate 2016, con i suoi 105 milioni, rappresentò il colpo più caro nella storia del calcio, senza dimenticare l’arrivo a parametro zero di Zlatan Ibrahimović.
Al termine della vittoriosa finale di Europa League contro la giovane Ajax di Peter Bosz, Mou aveva espresso la propria opinione sull’allenatore dei lancieri, ispiratosi apertamente ai dettami calcistici di Johan Cruijff e Pep Guardiola, il nemico per eccellenza di José, affermando che “ci sono tanti poeti nel calcio, ma i poeti non vincono i titoli”. Una frecciata in perfetto stile mourinhiano, molto simile ai concetti più volte espressi da Massimiliano Allegri durante i suoi duelli con Maurizio Sarri quando quest’ultimo era alla guida del Napoli.
Proprio all’allenatore livornese e alla sua Juventus è legato l’unico ricordo dolce dell’attuale stagione del Manchester United e dello stesso Mourinho: il rocambolesco successo ottenuto a Torino, con due gol negli ultimi cinque minuti, ha aperto al club inglese la strada per la qualificazione agli ottavi di Champions, certificata, successivamente, dalla rete di Fellaini al 91’ del match casalingo contro gli svizzeri dello Young Boys.
In queste due gare europee Mou ha avuto modo di esplodere tutta la rabbia accumulata nei difficili mesi precedenti, prima con la mano portata all’orecchio in segno di sfida verso i tifosi juventini che lo avevano insultato sia all’Old Trafford sia allo Stadium per i suoi trascorsi interisti, poi con il lancio delle borracce in seguito al gol qualificazione di Fellaini. Atteggiamenti che hanno riportato alla mente il Mourinho degli anni d’oro, quando, alla guida del Porto, del Chelsea e dell’Inter, riusciva a isolare i giocatori, catalizzando su di sé tutte le critiche che giungevano dagli addetti ai lavori.
Il “solo contro tutti” che ha contraddistinto le sue fortune, unito a una modalità di comunicazione pressoché perfetta, è, però, venuto completamente a mancare durante l’esperienza con lo United. Il suo rapporto con i giocatori, altra arma vincente nel passato dello “Special One”, non è mai decollato, come mostrato dalle reazioni dei calciatori dopo la comunicazione ufficiale dell’esonero del portoghese: il sorriso lasciato sui social da Pogba pochi istanti dopo la notizia è costato caro al francese, multato dal club, ma ha mostrato al mondo intero la soddisfazione dell’ex juventino, ai ferri corti con Mou ormai da mesi e tenuto in panchina per 90’ nel big match contro il Liverpool, decisivo per le sorti del tecnico.
Oltre allo sfogo social di Pogba, a confermare la difficile relazione tra Mourinho e lo spogliatoio dei Red Devils ci sarebbe anche lo scoop del Sun, secondo il quale Alexis Sánchez avrebbe vinto una scommessa di 20.000 sterline con il compagno Marcos Rojo sull’allontanamento del proprio allenatore. “Ve l’avevo detto! Serve solo pazienza. Rojo mi devi 20.000 sterline”. Sarebbe questo il messaggio WhatsApp che il cileno, arrivato a Manchester nel gennaio 2018 dall’Arsenal in uno scambio che ha coinvolto anche Mkhitaryan, avrebbe inviato nella chat con l’intera squadra.
Ulteriore benzina sul fuoco è stata aggiunta da Wayne Rooney, ex leggenda dello United che ha condiviso con lo “Special One” la stagione 2016/2017, in cui fu poco impiegato dal portoghese, tanto da decidere di ritornare all’Everton. Il recordman di marcature con la maglia dei Red Devils, attualmente in MLS con la maglia del D.C. United, ha dichiarato che “la gente con lui non era felice, nemmeno cuochi e magazzinieri: credo che Woodward avesse le stesse idee. Giusto cambiare, Solskjær è la persona ideale per il club”.
L’ultimo successo di José sulla panchina del Manchester resta dunque il 4-1 inflitto al Fulham del vecchio rivale Claudio Ranieri, sempre presente in alcuni degli snodi fondamentali della carriera di Mou: nel 2004 il portoghese lo sostituì al Chelsea, riportando i Blues a conquistare il titolo cinquant’anni dopo la prima e unica volta; il tecnico romano fu poi il suo più acerrimo avversario nel biennio italiano, prima alla guida della Juve e poi della Roma, con la quale andò a un passo dal soffiargli lo scudetto del 2010; infine, nel dicembre 2015, il 2-1 del Leicester di Ranieri sul Chelsea pose fine alla seconda avventura allo Stamford Bridge dello “Special One” e lanciò le Foxes verso la storica vittoria della Premier.
La sensazione è che il miglior Mourinho sia rimasto al 22 maggio 2010, quando con l’Inter trionfò in Champions League e realizzò il triplete. Da allora, nonostante la conquista di altri due campionati e varie coppe, il tecnico di Setúbal non è più riuscito a ricreare quella compattezza ambientale che gli aveva permesso di essere per distacco il miglior allenatore al mondo tra il 2004 e il 2010.
Prima di Manchester, già a Madrid, sponda Real, lo spogliatoio era stato vicino all’ammutinamento. La causa, in quell’occasione, fu la volontà di rompere i rapporti tra i giocatori spagnoli delle Merengues e del Barcellona, compagni di Nazionale nella Roja e dominatori d’Europa e del mondo. Scelta che venne fortemente criticata da Iker Casillas, portiere e capitano del Real e della Spagna, con il quale Mourinho iniziò una lunga serie di screzi che sfociarono nell’esclusione dall’undici titolare dello stesso Casillas a favore del neo acquisto Diego Lόpez. Malgrado la presenza di Cristiano Ronaldo e di tante altre stelle, il Real di Mou si fermò per ben tre volte in semifinale di Champions, non riuscendo a conquistare la tanto attesa Décima, che, ironia della sorte, arriverà un anno dopo l’addio del portoghese con Carlo Ancelotti in panchina.
Quali prospettive ora per Mourinho? “Avrò un futuro anche senza Manchester United”. Le idee del portoghese sono chiare, ma spetterà al campo stabilire se abbia definitivamente imboccato il viale del tramonto o se possa ritornare ai massimi livelli. Magari proprio in Italia, dove ha compiuto il suo ultimo capolavoro e dove potrebbe dimostrare ancora una volta di non essere un “pirla”.
Stefano Scarinzi
25 dicembre 2018
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