Ripensare l’Europa e metterla in moto
La riflessione dell’Ambasciatore Guido Lenzi sulle possibili soluzioni per far “ripartire” l’Europa.
Doveva succedere. Era accaduto un secolo fa, alla fine della Grande guerra quando, rinnegando la Società delle Nazioni, si ritirò dall’Europa. Accadde nuovamente nel Quarantacinque, se Stalin non li avesse trattenuti. Sarebbe dovuto accadere ancora dopo la caduta del Muro: ci dissero che toccava a noi occuparci della disintegrazione jugoslava.
Lo aveva raccomandato il Presidente Washington nel suo discorso di addio (“non rimanete invischiati nelle diatribe europee”). Con il successivo corollario di Monroe, che isolava l’intero nuovo continente, nord e sud, dalle interferenze straniere. E la conseguente guerra di Teddy Roosevelt contro la Spagna, a Cuba (e nelle Filippine). L’America agli americani, e che il resto del mondo se la cavi come meglio crede o può. Un’ambizione, quella americana, che le circostanze hanno ricorrentemente frustrato.
E che il successo di Trump oggi ripropone, in modo sguaiato ma non estemporaneo, come si vorrebbe credere. Esposta come tutti alle conseguenze della globalizzazione (che ha lei stessa prodotto), sovraesposta nella pretesa di tirare le castagne dal fuoco agli altri, criticata dai suoi stessi alleati, l’America torna oggi ad occuparsi di sé stessa. Rinunciando alla funzione di leader del mondo libero.
In politica estera, al Presidente americano vengono lasciate prerogative che i ‘checks and balances’ del sistema federale americano non gli accordano invece in materie di politica interna. Sono stati i Presidenti americani, da Wilson un secolo fa e FDRoosevelt trent’anni dopo, ad aver fissato l’agenda internazionale e operato per aggregarvi le relative coalizioni internazionali. Oggi, è come se il nuovo Presidente volesse rinunciare al ruolo di leader dell’Occidente, del‘mondo libero’, nel ristabilimento dell’antico isolazionismo, ormai anacronistico.
Sulla scena internazionale, bisognerà ora star a vedere non tanto quel che Trump riuscirà a fare neltentare di far cambiare rotta alla nave americana, quanto come reagiranno i suoi interlocutori internazionali. Con il rischio di un ritorno al sistema di equilibrio di potenze, di sfere di influenza rispettive che un mondo globalizzato, interconnesso, dovrebbe aver relegato fra le anticaglie della Storia.
In tali condizioni l’Europa non può continuare a stare a guardare. Dopo Brexit, dopo Trump, si dovrebbe ritenere che l’Europa abbia subìto un’altra, duplice, choc-terapia. Un soprassalto, l’Unione europea l’aveva avuto. Quando si allargò, ad est e a sud, per assorbire gli effetti della disgregazione dell’Unione sovietica. Ma poi, come i coccodrilli, ha avuto una lunga, inoperosa, digestione, che non può perdurare. Il Trattato di Lisbona ha decretato la possibilità di scomporre l’impegno di ognuno dei Ventotto, nell’Euro, in Schengen, negli impegni di difesa. Sotto la spinta di un’immigrazione incontrollata e di diffusi fenomeni terroristici, sono invece riaffiorati anacronistici istinti nazionalistici, difensivi, protettivi di presunte residue sovranità nazionali. Non propositivi di quelle formule innovative, collaborative che i tempi richiedono.
L’anno prossimo, a marzo, si commemoreranno i sessant’anni dei Trattati di Roma. L’occasione per ricordare i principi fondatori dell’impresa integrativa incompiuta, che i tempi rendono sempre più evidentemente necessaria per riproporre l’Europa sulla scena internazionale. Quale fattore di mediazione, di coagulo, di rapporti collaborativi ai propri confini orientali e meridionali, oggi fra i più dissestati. All’Italia in particolare, che non può far a meno del legame europeo, spetta un ruolo propulsivo. A fianco di Francia e Germania, che l’Italia ha di recente simbolicamente riunite accanto a sé a Ventotene.
Facendosi promotrice di una più organica difesa europea. Che presuppone però l’elaborazione di una politica di difesa comune, necessariamente in formato ristretto, ricorrendo alle‘cooperazioni strutturate rafforzate’ che il Trattato di Lisbona incoraggia. Fissando prioritariamente le linee direttrici di una politica estera comune a Ventotto (con il contributo, semmai anche esterno, del Regno Unito).
I termini di riferimento sono stati da tempo fissati. Le condizioni internazionali lo richiedono. Più che ripensata, l’Europa va messa finalmente in moto. Al riparo dal perverso, reazionario, canto delle sirene populiste, nazionaliste, isolazioniste, che sembrano oggi aver contagiato persino l’America.
You must be logged in to post a comment Login