Ragionando sulla Turchia
La riflessione di Gianni Pardo sulla politica estera del governo turco.
La comprensione della politica turca è in questo momento particolarmente difficile. Gli stessi osservatori internazionali sottolineano come la politica estera di Erdogan sia ondeggiante, contraddittoria e, a conti fatti, irritante anche per chi, fino a non molto tempo fa, è stato suo alleato. Così si possono soltanto fare considerazioni molto generali.
L’inerzia dei Paesi è spesso maggiore di quanto non si pensi. Questa tesi è stata magistralmente dimostrata, per quanto riguarda la Francia prima e dopo la Rivoluzione, da Alexis de Tocqueville, in “L’Ancien Régime et la Révolution”.
La Turchia fu salvata dal declino e dalla peste dell’immobilismo islamico da quell’uomo della provvidenza (nella specie Allah) che si chiamava Atatürk. Dopo questa cura da cavallo, si sarebbe reputata impensabile la svolta islamista che ha portato e mantenuto al potere Recep Erdogan e il suo partito, e tuttavia è ciò che è avvenuto. Ma se quasi un secolo di kemalismo non ha reso la Turchia laica, siamo sicuri che quindici o venti anni di simil-teocrazia riporteranno la Turchia alla forma mentis ottomana?
Quanto più sembrano totali, tanto più i ribaltamenti sono ingannevoli. Se nella Turchia laica non tutti pensavano che l’Islàm dovesse star lontano dalla vita pubblica, probabilmente è improbabile che oggi la totalità dei turchi pensi che ci debba essere coincidenza fra potere politico e potere religioso. E come Erdogan è riuscito ad ottenere una brusca sterzata verso la religione, domani ci potrebbe essere una brusca sterzata verso il laicismo. Soprattutto dopo che una popolazione che non ne aveva mai fatto esperienza avrà toccato con mano che cosa significa confondere politica e religione.
Il comportamento di Erdogan inoltre lascia perplessi per molti versi. Innanzi tutto si comporta come un dittatore. Lo fa appellandosi alle necessità determinate dal fallito putsch militare, ma in primo luogo quell’episodio lascia perplessi. È stato organizzato troppo male, ed è stato troppo utile ad Erdogan, per non porsi la domanda: “cui prodest”, a chi è utile? Criterio fondamentale nelle indagini criminali.
In secondo luogo, l’inusitata, esagerata, sproporzionata durezza della reazione governativa non si è limitata a punire i nemici, ha trasformato in nemici acerrimi molti che magari non lo erano, probabilmente fino a spaccare un Paese costretto al silenzio, ma i cui sentimenti non possono essere repressi. Erdogan ha dimenticato una lezione di cui gli antichi romani erano i migliori maestri, e cioè che se è utile vincere, può essere dannoso stravincere. Gli stessi americani si sono molto pentiti di avere smantellato l’esercito irakeno: infatti, quando ne hanno avuto di nuovo bisogno, si sono accorti che non c’era più. Per non parlare dei sovietici che prima sono riusciti ad invadere tutta l’Europa dell’Est, e poi sono riusciti a farsi odiare, perdendo la pace, dopo aver vinto la guerra. Erdogan ha seminato molto vento, e non è detto che gli servirà a gonfiare le sue vele.
In politica interna, i suoi errori sono coperti da una polizia e da carceri che riescono a fare paura, ma in politica internazionale è difficile che la realtà gli faccia sconti. Fuori dai suoi confini egli conta quanto la sua credibilità e il suo esercito, e soprattutto in materia di credibilità ha un bilancio da disastro.
Prima ha sostenuto lo Stato Islamico in modo indecente, fino a rendersi complice dei crimini di Al-Baghdadi. Tutti coloro che volevano andare a combattere per il “Califfo” passavano liberamente attraverso la Turchia. Lo Stato Islamico aveva difficoltà a vendere il suo petrolio ed Ankara glielo comprava. Finche le colonne di autobotti non furono prima fotografate (e per aver pubblicato le foto un giornalista finì in carcere) e infine distrutte da un devastante raid aereo.
Per qualche tempo la Turchia è apparsa come il principale sponsor delle ragioni dei sunniti contro i governanti alawiti di Damasco e contro gli sciiti in generale, fino ad arrivare all’idiozia di accollarsi la responsabilità dell’abbattimento di un aereo da caccia russo, seguito dal linciaggio di uno dei due uomini dell’equipaggio.
Ma poi ecco che improvvisamente Erdogan, magari dopo aver visto che il carro del vincitore andava in un’altra direzione, cambia politica. I russi non sono nemici, sono amici. Con gli sciiti si può collaborare. Lo Stato Islamico è criminale. Ai russi si può chiedere scusa per l’abbattimento dell’aereo e li si può implorare di mandare di nuovo i loro turisti a fare i bagni ad Adalia. E soprattutto ci si può alleare militarmente con loro per combattere contro i ribelli e sostenere Bashar el-Assad.
Ad ammettere che questo voltafaccia abbia un senso, siamo sicuri che tutti lo capiscano, in quel teatro di operazioni? Se Erdogan si crede furbo e spregiudicato, è perché non conosce la storia d’Italia. Anche noi siamo stati ripetutamente furbi e spregiudicati, ancora nella Seconda Guerra Mondiale, ma qual è stato il risultato? Meglio non parlarne, per carità di patria.
La chiave di tutti i misteri turchi potrebbe essere la limitatezza intellettuale di Erdogan e il suo incerto equilibrio mentale. Questa tesi forse è azzardata, ma non è assurda. Hitler forse non avrebbe avuto il successo che ha avuto se fosse stato un uomo equilibrato. Per essere un trascinatore di folle non è necessario essere dei geni, basti pensare a Beppe Grillo. Insomma la seria positiva, sulla roulette di Erdogan, non è detto continui.
Gianni Pardo, giannip.myblog.it, 2 gennaio 2017
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