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L’Unione Europea, prima, durante e dopo la Crisi

Prof. FragolaRelazione del Prof. Massimo Fragola al Seminario “L’Unione Europea: prima, durante e dopo la Crisi”, primo incontro del I Ciclo Verso Europa 2020. Napoli, Università L’Orientale, Cappella Pappacoda, 29/10/2012

In un periodo caratterizzato da un bombardamento mediatico sui mali di quest’Europa, dipinta come un mostro che ci ha resi più poveri , è difficile parlare in modo semplice di un processo che va avanti da 60 anni e che ha indubbiamente prodotto molti effetti positivi.
Da europeista convinto, sono il primo critico del processo d’integrazione; sono un giurista studioso del sistema istituzionale, ho l’onore di lavorare all’interno delle istituzioni e vedo tante cose che non vanno e vanno certamente migliorate. D’altro canto va detto che non esiste la legge perfetta, non è stato ancora individuato un ordinamento positivo in assoluto. Tutto è perfettibile anche il sistema dell’integrazione e la storia ci dice quanto tale sistema sia progressivamente migliorato. Faremo in Calabria un convegno di approfondimento “l’unione europea 60 anni di pace, mercati, crisi, rigurgiti nazionali e sovranità che ritorna. Il leitmotive è stato sempre questo: l’ interesse nazionale che si fronteggia con quello europeo, una costante e chiave di volta di un sistema che produce norme che incidono sui cittadini, i quali dovrebbero partecipare, per poter incidere sul processo decisionale, inviando in Parlamento Europeo rappresentanti adeguati al ruolo. Persino gli inglesi da sempre “eurofreddini” (valutando sempre il rapporto costi/benefici) mandano fior di rappresentanti, in Parlamento, in quanto esso con la procedura di Codecisione, ha diritto di veto sulle decisioni del Consiglio.
La ricaduta delle decisoni è diretta sul territorio, in quanto l’unione europea non è un organizzazione di stati come crede qualcuno: il diritto che promana da quest’entità produce effetti anche nei piccoli paesi di provincia, basti pensare alle normative in merito a quote latte, rifuti, ambiente, etc.
Esempio: qualche mese fa ho spiegato ai pescatori di Lamezia terme che non possono più pescare con reti ordinarie a strascico con maglie strette per un divieto dell’UE. Tale processo ha avuto una gestazione di anni, nel momento di entrata in vigore ha avuto una vacatio legis di 3 anni, dopo la pubblicazione del regolamento si è dato un tempo di 3 anni agli stati membri per adeguarsi alle normative dell’unione: alcuni (gli stati del Nord) lo hanno fatto, mentre in Italia solo una settimana prima dell’entrata in vigore (1 gennaio 2010) se n’è iniziato a parlare. La scarsa rappresentatività dei deputati porta ad una non ricezione delle norme: tutto ciò ha ricadute sulla scarsa conoscenza dei cittadini di tali meccanismi. Parlare dell’UE è come parlare di Saturno, nessuno è adeguatamente informato neanche a livello governativo. E’ uno strano destino che un’entità che stabilisce norme con impatto diretto sui cittadini sia ancora così poco conosciuta.
La mia risposta per l’Italia è che persiste una logica provinciale, legata alle beghe locali, per la quale il paesino è il centro del mondo. In Italia non esiste una politica europea, bensì una politica nazionale che di volta in volta si plasma sul contesto europeo.
Nella nuova economia globalizzata è impensabile non stare insieme, questo vale per le imprese ma anche per gli stati che devono necessariamente unirsi nell’UE per creare un solido nucleo all’interno del panorama mondiale.
Basti pensare il caso dei marò, per capire quanto sia mutato il quadro geopolitico: 10 anni fa l’Italia in 3 giorni avrebbe riportato i marò a casa, oggi l’India è l’India, sono cambiati i rapporti di forza e il nostro paese deve relazionarsi con nuove realtà.
L’Unione europea è la prima entità commerciale mondiale la terza entità demografica dopo Cina e India, prima degli USA. l’UE in campo internazionale ha una sua credibilità, ha il seggio ONU, è un soggetto riconosciuto soprattutto nel commercio. Nella FAO l’UE ha il suo diritto di voto e talvolta di veto.
Stare insieme diviene quindi una necessità: l’Europa romantica elaborata nei caffè non esiste più, non esiste più l’Europa di Spinelli, Monnet, Schuman, oggi esiste l’Europa della necessità, volenti o nolenti gli stati europei devono stare insieme per raggiungere una dimensione tale da poter competere nel mercato globale.
Non possiamo negare il sopravvento dell’economia e della finanza sul diritto e sulle altre discipline, l’uomo non è più l’uomo titolare di diritti ma è un “homo economicus”, un operatore economico, un consumatore. L’Europa si è adeguata a questa trasformazione: attraverso il Mercato si è giunti all’unione dei diritti. Da Maastricht è iniziata la svolta dall’unione economica all’unione dei diritti: una democratizzazione del sistema, che portò alla cittadinanza dell’Unione europea. Ma chi lo sa? I popoli europei sanno che hanno diritti di cittadinaza dell’unione e che se si trovano in uno stato terzo dove il proprio paese non è rappresentato hanno diritto alla protezione diplomatica dell’UE? Oggi parliamo di uguaglianza, di bioetica, di diritti del concepito, un’evoluzione fantastica che però non viene colta, soprattutto in questo momento di Crisi.
Una crisi che non nasce in Europa, che abbiamo subito e che ha evidenziato le carenze prodotte dai rigurgiti di sovranità nazionale durante la negoziazione di Maastricht nelle decisioni sulla moneta unica. Quando fu realizzata l’unione monetaria durante la conferenza intergovernativa (io ebbi il piacere di partecipare grazie al prof. Tizzano oggi giuduce alla corte di Lussemburgo) i più grandi economisti e monetaristi dissero che essa non avrebbe funzionato perché creava una moneta unica senza il controllo dei bilanci e degli aspetti fiscali, di competenza delle economie nazionale. Questo perchè gli stati decisero di creare la moneta per perfezionare il Mercato Comune, pensando che esso non potesse funzionare a causa delle disomogeneità tra le diverse monete: tanti tentativi furono fatti, il serpentone monetario, lo SME, l’ECU (che non era una vera moneta ma un mezzo di calcolo tra gli stati membri). In uno spazio senza frontiere con monete disomogenee con il Marco che prevaleva sulle altre valute si pensò di procedere oltre il Mercato perfezionandolo con una moneta unica e si posero le basi di quel processo che fu definito dalla dottrina “costituzionalizzazione dei trattati”.
Da questa crisi abbiamo perso 11 anni: il sistema avrebbe assorbito meglio questa crisi che viene da lontano, se avessimo ascoltato economisti e monetaristi a Maastricht. Così non fu perché gli stati si irrigidirono in un rigurgito di sovranità per conservare il controllo dei bilanci e delle politiche fiscali. Oggi ci sono popoli che soffrono e viene naturale dire che l’euro che ci ha impoveriti: 2000 € non sono i vecchi 4 milioni. Questo per due ragioni:
1) il cambio sfavorevole: a decidere le regole è stata la Germania che a fronte della rinuncia al Marco, terza valuta mondiale, ha preteso garanzie che alcuni stati non facessero la solita finanza creativa con svalutazioni competitive della lira o stampare moneta.
2) il trattato di Maastricht dice che la BCE si occupa del controllo del mantenimento dei prezzi, ma il controllo sul territorio lo demanda ai governi nazionali che a loro volta delegano alle regioni, alle province ai comuni: il controllo a livello centrale c’è stato, è mancato quello sul territorio.
Oggi da questa crisi, forse la più importante degli ultimi 60 anni, si sta già ripartendo, lo si vede da varie iniziative, c’è stato una sorta di disgelo tra capi di governo, è prevalso il buon senso. Noi studiosi abbiamo sempre detto che il buon senso deve prevalere, non avevamo dubbi sull’irreversibilità del processo d’integrazione, un entità nel bene e nel male consolidata che può solo ripartire.

Il Video del Seminario

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