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L’OSCE, CENERENTOLA D’EUROPA

osceEspulsa come osservatore dalla Georgia dopo l’intervento russo del 2008, riproposta ora come mediatore per l’Ucraina, l’OSCE torna a far capolino nella politica estera europea. Per chi l’avesse dimenticato, la Conferenza (poi Organizzazione) per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa avviata con l’Atto Finale di Helsinki nel lontano 1975 (da non confondere con l’OCSE!), è lo strumento al quale, assieme al Papa polacco, si può attribuire l’erosione della Cortina di ferro e la ricomposizione politica continentale.

Nel 1990 a Parigi, iscrivendola in una Carta paneuropea promossa appunto dall’OSCE, Gorbaciov evocò una ‘casa comune europea’. Nel 1999 al Vertice OSCE di Istanbul, Eltsin si impegnò a contribuire alla soluzione dei residui ‘conflitti congelati’ in Europa. Putin rinnegò poi gli impegni presi dai suoi predecessori, dichiarando che la disgregazione dell’Unione Sovietica era stata ‘la maggior catastrofe del secolo scorso’. Ep-pure, l’antica abitudine auto-flagellatoria occidentale conduce autorevoli osservatori a stigmatizzare la ‘sgangherata’ politica estera di Washington e Bruxelles, che non avrebbe saputo prevedere né prevenire l’intervento russo, incoraggiato dall’asserita remissività di Obama nelle questioni internazionali, e provocato persino dall’offerta di associazione all’UE.

Rinnegando in tal modo il lavorio della diplomazia europea, al quale va invece ascritta la continua opera di stabilizzazione alle frontiere del continente, lungo la fascia divisoria che persiste ap-punto fra l’Europa allargata e la Russia ritrattasi, nel Balcani e nel Mediterraneo. Un’opera che non può certo essere imposta, esi-gendo la corrispondente rispondenza dei vicini ai quali si rivolge. È appunto l’OSCE, con le sue missioni collocate nelle zone criti-che, che fornisce il sottostante tessuto connettivo alla ‘politica di vicinato’ dell’Unione, che ne costituisce l’espressione programmatica. Segretario Generale ne è oggi l’italiano Lamberto Zannier, uno dei pochi diplomatici multilateralisti nostrani, che il Ministero degli Esteri trascura, inseguendo asserite improbabili intese bilaterali, di volta in volta, con Berlino, Parigi, Washington. Piuttosto che prodigarsi anche, più assiduamente, a quella tessitura di interconnessioni che gli strumenti diplomatici multilaterali forniscono, che meglio si adattano alla nostra indole e pertanto alle nostre possibilità di presenza sulla scena in-ternazionale.

Ancora una volta la politica estera dell’Unione dimostra di non essere autogena, bensì rispondente alle sollecitazioni dall’esterno, alle quali reagisce mediante geometrie variabili: nel caso ucraino, principalmente ad opera di Francia, Polonia e Svezia, i paesi più direttamente esposti. In modo pertanto potenzialmente più incisivo di quanto potrà mai fare una improbabile impostazione monolitica, che rischierebbe di apparire come il ruggito del topo. In una gamma di misure differenziate, che da un lato assistano Kiev nelle riforme interne necessarie e dall’altro attenuino le spropositate preoccupazioni strategiche Mosca. In tal senso, da dietro le quinte piuttosto che nei tanto vantati contatti personali con lo zar del Cremlino, l’Italia può fare di più.
Guido Lenzi – Blog Rubbettino
7 marzo 2014

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