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L’ombelico del mondo

brasile-belgioPer la quarta edizione consecutiva il Mondiale sarà conquistato da una Nazionale europea, a testimonianza dell’ormai conclamata supremazia del Vecchio Continente sul resto del mondo, Sud America in testa.

Francia, Belgio, Croazia e Inghilterra. Ecco le magnifiche quattro che si contenderanno il Mondiale 2018. Si scrive Mondiale, ma si legge Europeo.

Per la quarta volta di fila, infatti, il titolo più prestigioso verrà conquistato da un’europea. Lloris, Hazard, Modrić o Kane. Sono i capitani delle nazionali ancora in corsa e uno di loro avrà l’onore di alzare al cielo di Mosca la coppa, succedendo nell’albo d’oro recente a Cannavaro, Casillas e Lahm, capitani di Italia, Spagna e Germania. Quattro squadre diverse del Vecchio Continente sul tetto del mondo dimostrano che la supremazia del calcio europeo sia totale, non interessando una sola Nazionale, ma l’intero movimento.

A rafforzare ulteriormente questo dominio altri due dati: per la quinta volta su ventuno edizioni del campionato del mondo le quattro semifinaliste fanno parte della UEFA; con la vittoria di Russia 2018, l’Europa allungherà il suo vantaggio nei confronti del Sud America portandosi sul 12-9.

L’ultima affermazione non europea resta quella del Brasile nel 2002. Proprio la Nazionale verdeoro sembrava la più autorevole candidata a interrompere tale supremazia, ma i sogni di gloria si sono infranti al cospetto del Belgio. L’impressione è che le pesanti scorie dell’umiliazione casalinga di quattro anni fa contro la Germania siano ancora presenti nella testa dei pentacampioni. Non è un caso che alle prime difficoltà la Seleção si sia sciolta e non sia stata in grado di ribaltare il doppio svantaggio maturato nel primo tempo con i “Diavoli Rossi”. Nonostante il CT Tite abbia pienamente attinto dalla mentalità europea, con una squadra basata su una difesa solida (Alisson è rimasto inattivo per gran parte della competizione) e un centrocampo roccioso (pesantissima l’assenza di Casemiro nel quarto di finale), l’appannamento di Gabriel Jesus, rimasto a secco, e, soprattutto, le troppe lune di Neymar, che ha perso la grande occasione di poter ambire concretamente al Pallone d’Oro, hanno condannato il Brasile, schiacciato anche dall’eccessiva pressione, come hanno dimostrato le lacrime dello stesso “O Ney” dopo la sofferta vittoria contro Costa Rica.

Pressione che ha influito anche sul rendimento dell’altra superpotenza del Sud America, l’Argentina. Eloquente, a riguardo, il viso contratto di Messi durante l’inno nazionale prima della disfatta contro la Croazia, quasi un presagio del disastro tecnico-tattico avvenuto nei 90 minuti. Ma menzionare l’aspetto psicologico come unico fattore di questo flop sarebbe riduttivo. Jorge Sampaoli è stato di gran lunga il peggior allenatore del Mondiale. Condizione fisica della squadra pessima, segno di una preparazione pre-Mondiale del tutto sbagliata, convocazioni più che discutibili, nessun controllo dello spogliatoio, come evidenziato dall’esautorazione post Croazia, e formazioni scellerate, senza nessuna copertura del centrocampo (basta rivedere la facilità con cui Mbappé ha divelto l’Albiceleste) e con la rinuncia contemporanea a quasi tutte le stelle dell’attacco. Assenza totale di una minima parvenza di gioco e rinuncia ai singoli in grado di fare la differenza: un mix micidiale che ha minato le poche certezze argentine. Incredibile pensare che la generazione d’oro degli Anni ’80, capitanata da Leo Messi, rimarrà a bocca asciutta e con la bacheca vuota.

Rispetto alle principali nazionali europee, le sudamericane, ma più in generale le rappresentanti degli altri continenti, pagano la minore competitività dei propri campionati. Basta dare un’occhiata all’albo d’oro del Mondiale per Club, in cui bisogna tornare al 2012 per trovare l’ultimo e unico successo nelle ultime undici edizioni di una non europea. I migliori giocatori militano in Europa e questo, pur migliorandoli singolarmente, non aiuta l’amalgama delle selezioni, a differenza delle nazionali del Vecchio Continente, spesso formate dai blocchi dei top club europei.

Un’altra sostanziale differenza è data dall’attenzione rivolta ai settori giovanili. In Europa sono tanti gli investimenti riservati ai più giovani. Strutture all’avanguardia, centri federali, allenatori specializzati e competenti. In questo settore spiccano Germania, Francia, Belgio e Inghilterra. Ad eccezione della Mannschaft, comunque campione in carica, le altre tre sono semifinaliste in questo Mondiale.

Se il Sud America non gode di buona salute, neanche gli altri continenti possono fare salti di gioia. L’Africa continua a non compiere il salto di qualità che tutti aspettano ormai da diversi decenni. Anzi, le cinque eliminazioni al primo turno sono il peggior risultato per il Continente Nero dal 1986 a oggi.

L’Asia, nonostante le buone impressioni dell’Iran e del Giappone, a un passo da una clamorosa qualificazione ai quarti, ha ancora come miglior risultato la discussa semifinale della Corea del Sud nel Mondiale casalingo del 2002, aspettando sempre che la Cina finalmente emerga.

Il Centro-Nord America ha il suo punto di riferimento nel Messico, che, però, continua a non superare lo scoglio degli ottavi di finale, fatali nelle ultime sette edizioni. Gran parte delle speranze sono riposte nella tanto sospirata crescita degli Stati Uniti, assenti in Russia. Chissà che il Mondiale 2026, assegnato proprio agli USA, in coabitazione con Messico e Canada, non rappresenti il giusto trampolino per spiccare il volo.

Neanche il tifoso più ottimista può invece vedere nel futuro, prossimo o remoto, un successo iridato di una Nazionale dell’Oceania, che può consolarsi con un posto fisso a partire dal Mondiale extralarge del 2026.

Proprio il campionato del mondo del 2026, il primo con la nuova formula a 48 squadre approvata un anno e mezzo fa, è uno degli argomenti più discussi nei salotti calcistici. Inevitabili le polemiche, dal momento che le nazionali europee ai nastri di partenza saranno sedici, appena tre in più del format attuale e solo 1/3 del totale. Un dato davvero incredibile, considerando che fino al 1994 le rappresentanti del Vecchio Continente superavano il 50% delle presenti alla fase finale.

Alla luce di quest’egemonia eurocentrica, di cui si fa fatica a vedere la fine, sarebbe auspicabile che il presidente della FIFA Gianni Infantino rivedesse i criteri di accesso al Mondiale, premiando la meritocrazia e non il facile guadagno, affinché ne benefici anche lo spettacolo del campo e del calcio giocato, da sempre ciò che più conta.

Stefano Scarinzi
10 luglio 2018

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