L’importanza di saper vincere
Ambiente e mentalità: il crollo del Napoli e il settimo scudetto consecutivo della Juventus
22 aprile 2018. Allianz Stadium di Torino. Juventus-Napoli 0-1. Marcatore: Koulibaly al 90’.
Ecco il gol che ha deciso lo scontro diretto e il campionato. Ma non con il finale auspicato e sognato da Napoli e dal Napoli.
Caroselli, fuochi d’artificio, tuffi nelle fontane, bagni di folla nelle strade della città partenopea e oltre 10.000 tifosi all’aeroporto di Capodichino ad accogliere i giocatori di ritorno da Torino.
Immagini molto suggestive, che hanno mostrato tutto il calore e la passione del popolo azzurro nei confronti della squadra.
Inoltre, c’era un ulteriore motivo per festeggiare, trattandosi del primo successo e dei primi punti conquistati nel nuovo impianto juventino, inaugurato nel 2011.
Purtroppo per il Napoli, però, restava un particolare per nulla secondario: nonostante la storica vittoria, la Juve conservava ancora un punto di vantaggio a quattro giornate dal termine del campionato.
Giusto festeggiare, dunque, ma senza esagerare, mantenendo alta la concentrazione in vista del rush finale, con lo scudetto che restava comunque nelle mani dei bianconeri.
Proposito, invece, disatteso non appena Rocchi ha decretato la fine del big match. Salti, balli e cori nello spogliatoio, battute improvvide di Insigne sull’abitudine della Juve a perdere le finali di Champions League e la festa scudetto già organizzata dal questore di Napoli Antonio De Iesu.
La sensazione è che tutto l’ambiente Napoli considerasse il più ormai fatto, anche alla luce del durissimo calendario che attendeva la squadra di Allegri.
Questa condizione mentale e questa eccessiva convinzione hanno probabilmente rappresentato le sliding doors del campionato.
L’incredibile rimonta della Juve a Milano con l’Inter, suggellata beffardamente da Higuaín a un soffio dal 90’, ha minato ogni singola certezza del Napoli, di fatto non sceso in campo il giorno dopo nel tracollo di Firenze.
Colpa grave, che diventa gravissima, poiché ripetuta a distanza di appena di un mese e mezzo.
Sabato 3 marzo: la Juve espugna l’Olimpico laziale con una prodezza di Dybala a pochissimi secondi dalla fine della partita e a pochi minuti dall’inizio di Napoli-Roma. Gli azzurri, in quel momento avanti di quattro punti sui bianconeri, anche se con una gara in più, accusano oltremodo il colpo, perdendo 2-4 e dando modo alla Juve di attrezzarsi per il sorpasso.
Fragilità mentale che era emersa già nello scontro diretto del 1° dicembre al San Paolo. La squadra di Sarri aveva l’occasione di dare una spallata forse decisiva al torneo, spedendo Buffon e compagni, ancora in fase di rodaggio, a sette punti di distacco. Ma la solita zampata del core ‘ngrato Higuain aveva aperto la prima crisi stagionale all’ombra del Vesuvio, culminata pochi giorni dopo con l’eliminazione dalla Champions League.
La differenza tra le due squadre è stata essenzialmente di tenuta nervosa.
Una Juventus stanca, logora e in cui, per la prima volta in sette anni, si sono viste delle crepe in un muro indistruttibile, ma capace di tenere duro anche nei momenti più difficili, mostrando una fame e un orgoglio ineguagliabili e, per certi versi, inspiegabili, tenendo presenti i tanti anni di vittorie. Ecco spiegati i sette scudetti, le quattro Coppe Italia, le quattro doppiette consecutive dei bianconeri.
Il Napoli si è dimostrato pronto tecnicamente per competere per lo scudetto.
Il record di punti della società, il bel gioco, la crescita e la valorizzazione di tutti i titolarissimi sono sicuramente il fiore all’occhiello del triennio di Maurizio Sarri sulla panchina azzurra. Avventura, però, sul cui futuro permane un grosso punto interrogativo, con il rammarico di non aver conquistato finora alcun titolo, ma, soprattutto, di non aver portato tutto l’ambiente a compiere il salto di qualità necessario per dare un taglio definitivo alle facili esaltazioni e alle rovinose depressioni.
“Scudetto perso a Firenze. Ma in albergo, non in campo”. Il commento polemico sul finale di stagione da parte dell’allenatore toscano strizza l’occhio alla piazza, ma dimostra le difficoltà sotto l’aspetto psicologico del vincitore della Panchina d’Oro 2015/2016, non nuovo a questo tipo di dichiarazioni.
88 punti, con la concreta possibilità di chiudere a 91, che rappresenterebbe la quarta performance di sempre nella storia della Serie A. Il campionato degli azzurri resta strepitoso, ma la gestione della stagione, con i prematuri addii a Champions, Europa League e Coppa Italia, ha seminato dubbi e perplessità e lasciato scorie in vista del prossimo anno. Si ripartirà con ogni probabilità dalla terza fascia nei sorteggi Champions di agosto e quindi da un girone potenzialmente di ferro.
“La cosa migliore e più sicura è avere equilibrio nella tua vita”. Euripide e non Koulibaly: tatuarsi sulle braccia e soprattutto nel cuore la massima del drammaturgo greco potrebbe essere il giusto viatico per scalare l’ultimo definitivo gradino.
Stefano Scarinzi
18 maggio 2018
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