Lavoro e competenze per il Futuro per il Mezzogiorno
Sintesi dell’intervento di Roberto Giuliani al webinar del “Cantiere Mezzogiorno in progress” di Osservatorio Banche imprese, giovedì 1 aprile 2021.
Il costante flusso migratorio dei nostri giovani verso altri paesi europei, ormai non più solo alla ricerca di un lavoro ma anche per formarsi, attratti da offerte ritenute più aderenti alle nuove esigenze del mercato del lavoro, rende evidente la necessità di riformare il sistema formativo italiano, nelle strutture e nelle metodologie, per fornire alle nuove generazioni strumenti adeguati a competere in un contesto economico e sociale in veloce e continua evoluzione.
Differenti approcci formativi orientati ad una nuova cultura del lavoro che superi i paradigmi tradizionali delle forme di impiego basate su meccanismi di subordinazione e intermediazione e si apra ad una nuova concezione di lavoratore sempre più “freelance” e artefice del proprio destino.
Figure professionali che si muovono autonomamente in un mercato tuttavia complesso e intricato, caratterizzato dal rischio di una polarizzazione delle skills e da formule altamente innovative che pongono nuove esigenze di tutela.
Pensiamo ad esempio al crowdworking, il “lavoro su piattaforma” conosciuto dal grande pubblico soprattutto per le controversie legislative legate all’inquadramento normativo della categoria dei “riders” del settore del food delivery. Si tratta in realtà di un mondo molto più ampio costituito da molteplici professionalità che propongono le loro prestazioni direttamente sul mercato, attraverso piattaforme digitali di incontro tra domanda e offerta. Crowdworking letteralmente significa “lavoro nella folla”: infatti questi lavoratori offrono servizi (consulenze, traduzioni, prestazioni di lavoro intellettuale) ad una folla di potenziali clienti sparsi in ogni angolo del globo.
L’autonomia di questi lavoratori è data quindi dalla possibilità dell’accesso diretto allo sconfinato mercato globale, raggiungibile attraverso il web, senza spostarsi e sostenere costi, ma anche dalla disponibilità dei mezzi di produzione (computer, cellulare, tablet, stampanti 3d) fattore che va a scardinare i classici paradigmi capitale-lavoro.
Stiamo parlando di trasformazioni strutturali non transitorie: una differenza non da poco in questa particolare fase storica che potrebbe indurci nell’errore di leggere gli sconvolgimenti che stiamo vivendo come qualcosa di contingente e legato all’emergenza pandemica.
E tanti altri cambiamenti ci attendono nei prossimi anni: nel nostro volume quando parliamo di “futuro che è già qui” ci riferiamo appunto alla costanza e alla velocità di questo processo, che inevitabilmente condiziona la programmazione formativa. Le prossime generazioni svolgeranno professioni molto diverse da quelle di oggi, molte delle quali ancora non esistono, come analizzato dal recente rapporto del World Economic Forum.
I processi formativi devono pertanto essere proiettati in questo futuro in costante evoluzione e pensati con estrema elasticità e con il coinvolgimento di tutti gli attori chiave del tessuto produttivo in sinergia con le istituzioni e con il sistema scolastico e universitario.
Il mondo imprenditoriale, che giustamente pone l’accento sul problema del disallineamento tra i profili di cui il mondo delle imprese ha bisogno e quelli prodotti dal sistema formativo, deve giocare un ruolo di primo piano nella costruzione delle nuove competenze, un processo di accompagnamento a questo lavoro sempre più autonomo che richiede quindi anche un’adeguata cultura del rischio, che forse è spesso mancata in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno per il prevalere della logica del posto fisso; una cultura del lavoro che cammina quindi di pari passo con una nuova cultura d’impresa.
Una “formazione 4.0” intesa come accelerazione, sperimentazione sul campo, condivisione e confronto, costruzione di partenariati strutturati e sostenibili per l’implementazione di progettualità di ampio respiro, mettendo a sistema iniziative differenti ma complementari quali spazi di formazione e coworking, fablab, centri strategici, competence center, fabbriche delle competenze.
In un’epoca caratterizzata dall’intangibile e dall’extraterritorialità c’è tuttavia una necessità di spazi fisici dove svolgere questo lavoro sinergico di aggregazione e formazione. E’ necessario un ripensamento del ruolo degli incubatori, anche alla luce delle criticità emerse sulle scarse possibilità per le start up italiane di sopravvivere nel medio lungo periodo: sono sempre meno le giovani imprese che riescono a sviluppare un proprio processo produttivo e ad affermarsi sul mercato, finendo con l’essere assorbite dalle grandi aziende, spesso multinazionali, disperdendo l’innovazione prodotta nei territori.
Ripensare gli spazi, luoghi di aggregazione e di interazione dove conservare il senso di comunità e accompagnare le nuove imprese verso uno stabile inserimento nel tessuto produttivo locale, contribuendo ad innovare il tessuto stesso e renderlo competitivo nello scenario europeo e internazionale.
A tal fine può e deve giocare un ruolo chiave l’Università che deve accompagnare i giovani dalla fase formativa a quella lavorativa ed essere luogo di incontro e punto di riferimento di ogni sistema locale.
Da qui deve partire il rilancio del Mezzogiorno e di conseguenza di tutto il Sistema Italia. La rivoluzione digitale può essere l’occasione per realizzare il tanto atteso salto del gradino proiettando il nostro meridione direttamente nella dimensione 4.0, sfruttando quel ritardo nelle precedenti fasi di industrializzazione che può diventare un vantaggio, non avendo grandi infrastrutture da adeguare, e potendo inoltre contare su tante giovani energie da valorizzare.
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