L’Attività di Lobbying
Posted on 5 dicembre 2017 By EuropaLab Connecting Italy, Numero 6 - Le ragioni per ripartire, Seminari
A cura di Roberta Ferrara.
Nell’immaginario collettivo il termine “Lobbista” ha un’accezione negativa, spesso intesa come sinonimo di “faccendiere”, ossia chi svolge operazioni poco trasparenti, oscure, se non addirittura attività di “corruzione”. Un’espressione usata quasi un’offesa. In realtà il termine lobbista si riferisce ad una professione che in alcuni stati è prevista e regolamentata, e in generale non implica nulla di particolarmente insano in una democrazia. Al contrario, il lavoro di lobbying si iscrive all’interno di una cornice pienamente democratica di confronto tra interessi particolari e interesse generale.
Il termine inglese “Lobby” deriva dalla parola latina che significa “loggia”, “tribuna”: in origine è stato utilizzato nel XIX secolo per indicare nella Camera dei Comuni, una delle due assemblee che costituiscono il Parlamento britannico, il luogo dove i deputati incontravano il pubblico e, in particolare, i rappresentanti dei vari gruppi di interesse. Le persone che aspettavano i parlamentari nella lobby per parlare con loro furono quindi col tempo chiamati “lobbisti”. La lobby è dunque un “gruppo di pressione”: ossia un gruppo di persone, legati tra loro da interessi comuni, che cerca di esercitare la propria influenza sul decisore politico per difendere un interesse. Anche un’associazione studentesca, un’associazione di commercianti o professionisti, in tal senso, svolgono attività di lobbying: cercano di fare pressioni sui decision maker affinché tengano conto dei loro interessi – e di quelli delle persone che rappresentano – nel fare le leggi. Ci sono poi società e figure professionali specifiche che si occupano direttamente dell’attività di lobbying “su commissione”: un’azienda interessata all’approvazione di una determinata legge, può stipulare un contratto con una società o una persona specializzata in lobbying perché queste facciano pressione sui politici per una determinata questione. Oggi si assiste, anche in Italia, ad un trend sempre crescente del mercato delle lobby. L’attività di lobbying sta diventando sempre più uno strumento fondamentale per le aziende, del resto basta guardare il recente studio di James Bessen, economista alla Boston University School of Law, che mostra come proprio il lobbying sia il principale fattore di crescita quasi alla pari del capitale, a un livello almeno quattro volte superiore a quello della Ricerca e Sviluppo.
C’è però una questione rilevante, su cui è necessario soffermarsi: come si svolgono le azioni di pressioni da parte dei lobbisti? In che modalità avvengono tali azioni? Esse possono essere più o meno lecite e questo dipende in gran parte se le attività di lobbying sono regolamentate a livello istituzionale o si svolgono invece senza alcun controllo normativo.
L’attività di lobbying è regolamentata in alcuni Paesi come in Australia, Canada, Germania, Polonia, Stati Uniti, Ungheria, e anche nella Commissione e nel Parlamento europeo. Il Libro Bianco della Commissione UE del 2001, il Libro Verde del 2006 e il Registro europeo dei rappresentanti di interessi del 2007 hanno stabilito una regolamentazione dell’attività delle lobby all’interno delle istituzioni europee: un sistema di registrazione su base volontaria, un codice di condotta comune e un sistema di controllo e di sanzioni da applicare in caso di violazione del codice. Il cosiddetto modello Bruxelles è dunque basato su l’adesione volontaria a codici deontologici di condotta da parte dei funzionari, dei politici e dei rappresentanti di interessi. Esiste un pubblico registro rivolto a tutti gli organismi che esercitano attività di rappresentanza di interessi, tuttavia anche l’iscrizione al registro è su base volontaria, a conferma del modello di autoregolamentazione scelto dall’Unione europea. Mentre il modello Washington è caratterizzato da una disciplina specifica che nasce dall’esigenza di combattere le degenerazioni di un sistema di pressione occulta sul Congresso. Il Lobbying Disclosure Act del 1995 ha infatti definito una regolamentazione dettagliata basata sulla trasparenza e la pubblicità dell’attività di relazione istituzionale. Fra i grandi Paesi europei, solamente la Germania ha adottato il modello statunitense di regolamentazione per legge, mentre negli altri Paesi o è assente una disciplina specifica, oppure, ad esempio nel Regno Unito, la materia è demandata a forme di autoregolazione sul modello di Bruxelles.
Nell’ordinamento italiano la disciplina dell’attività di lobbying è oggetto da diversi anni di iniziative legislative il cui esame, più volte avviato, non è ancora giunto a compimento. È stato invece approvato nell’aprile del 2016 ed entrato in vigore il 10 marzo 2017, il regolamento della Camera dei deputati che disciplina l’attività di lobbying dei gruppi di pressione nel parlamento italiano. Nel regolamento né la parola lobby, né il termine lobbisti sono mai menzionate, ma le attività in questione sono definite attività di rappresentanza di interessi. Per “attività di rappresentanza di interessi”, secondo il regolamento, si intende ogni attività svolta professionalmente nelle sedi della Camera dei deputati attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, intesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei deputati.
In particolare, il provvedimento di regolamentazione delle lobbies prevede:
1) l’istituzione presso l’Ufficio di Presidenza della Camera, di un registro dei soggetti che svolgono professionalmente attività di relazione istituzionale nei confronti dei membri della Camera dei deputati presso le sue sedi;
2) l’iscrizione nel registro di chiunque intenda svolgere attività di relazione istituzionale, rappresentando o promuovendo presso la Camera dei deputati interessi leciti;
3) l’obbligo da parte degli iscritti al registro di presentare una relazione a cadenza annuale alla Camera che dia conto dei contatti posti in essere, degli obiettivi conseguiti e dei soggetti interessati;
4) l’applicazione di sanzioni in caso di violazioni consistenti nella sospensione o cancellazione dal registro.
Inoltre, i lobbisti di Montecitorio non potranno più circolare liberamente nel Transatlantico del palazzo di Montecitorio, né stazionare davanti alle Commissioni, ma avranno uno spazio apposito, dotato di attrezzature informatiche in cui svolgere la loro attività di rappresentanti di interesse.
Nell’attesa che tale attività venga finalmente disciplinata attraverso una normativa nazionale, cercheremo nei prossimi seminari e approfondimenti sulla Rivista Europalab, di capire nell’esperienza concreta di varie associazioni cosa significa fare rete, unirsi e farsi portavoce di alcuni interessi di categoria.
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