La festa della liberazione
25 Aprile: la riflessione di Gianni Pardo.
È normale che proviamo a non farci imbrogliare dal prossimo. Ma questo sforzo deve essere esteso anche ad un aggressore imprevedibile: noi stessi. Sia perché potremmo essere tentati di abbellire la realtà in nostro favore, sia perché potremmo alla fine credere una menzogna soltanto perché (alla Lenin) ci sarà stata ripetuta tante volte, da aver fatto rovinare le nostre difese mentali.
Sono stato bambino in un mondo in cui non si poteva essere che fascisti. Poi ho passato una vita assistendo all’eterna guerra mai vinta e archiviata contro il fascismo, tentando sempre di tenere la testa fuori dall’acqua dei possibili condizionamenti. E una domanda che mi sono posto più volte è stata: ma se avessi avuto vent’anni nel 1930, sarei stato fascista anch’io?
È giusto avere il dubbio, dal momento che moltissimi galantuomini, inclusa la folla di coloro che poi divennero comunisti, e che allora avevano quell’età, sono stati fascisti: da Montanelli a Scalfari, da Fanfani a Giorgio Bocca, da Giorgio Albertazzi a Dario Fo. Non quattro sprovveduti, come si vede. Ovviamente, se fossi stato fascista, mi sarei ampiamente perdonato. È difficile che un giovane abbia i dati e il coraggio per andare controcorrente nel fiume del presente.
E tuttavia penso che non sarei stato fascista. Credo che il mio temperamento mi avrebbe precluso ogni forma di unanimismo, di retorica, di illusione, di menzogna. Se da sempre non vedo il nostro Risorgimento come un’epopea (stante la lunga serie di sconfitte accumulate) come avrei potuto chiamare Rivoluzione la Marcia su Roma, quando si trattò di una gita in treno, conclusa con l’approvazione del Re? Come avrei potuto realmente compiacermi dell’Impero, quando avevamo gli scarti delle colonie, conquistati non sempre facendo bella figura sul campo di battaglia? Come dimenticare Adua? L’Italia guerriera non era più guerriera delle comparse dell’Aida. I gerarchi con la pancetta che fingevano di essere degli atleti mi avrebbero fatto ridere, ed avrei trovato patetico il Duce sul cavallo bianco. Molti sventolavano bandiere sul carro vincente del regime, ed io non sono mai stato bravo a sventolare bandiere. E questo quando il fascismo trionfava. Poi è cominciata la serie inenarrabile delle nostre tragedie, dalle leggi razziali allo scontro con i francesi, sul Moncenisio (a Francia già vinta), dalla sconfitta contro la Grecia, che avevamo aggredito noi, alla Libia, alla Russia, fino al marasma del 1943 e al disonore nazionale coniugato sull’intero setticlavio,
Se in qualcosa tutto ciò poté influire, sulla mia formazione, fu nella direzione di non credere mai alla retorica nazionale. Principio che mi è stato anche più utile del previsto, in quanto, dal 1943 in poi, la retorica nazionale ha soltanto cambiato di segno. Sono passato da Roma che ritrovava il suo spirito guerriero per riappropriarsi il suo eterno destino imperiale, a un Paese che non è mai stato fascista, non è mai stato alleato dei nazisti, non ha mai partecipato ai loro crimini. Il nuovo catechismo insegna che il fascismo è il male assoluto, non ha mai fatto né mai avrebbe potuto fare una singola cosa buona, e per giunta è un male che non è mai morto, nel senso che ancora oggi siamo tutti in trincea per lottare contro di esso. Baggianate monumentali. Ed io, per più di settant’anni, ogni volta che la radio, la televisione, i giornali, l’ufficialità, mi versavano nella mente una bugia, mi sono costretto a ripetere mentalmente: “Non è vero”. “Non è andata così”. “Questa propaganda è degna del fascismo”.
La semplice verità è che abbiamo perso ignominiosamente una guerra cui non avremmo dovuto partecipare, per giunta schierandoci dalla parte sbagliata, e alla fine della quale abbiamo assistito alla liquefazione dell’esercito italiano, alla fuga del Re da Roma, al marasma nazionale.
E da quel momento, invece di batterci il petto, invece di cercare di migliorare seriamente il nostro livello morale e civile, ci siamo ubriacati di bugie. L’Italia non è mai stata fascista. L’Italia ha vinto la guerra insieme con gli Americani (gli inglesi, chissà perché, erano spariti dalla storia, mentre sono stati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale). l’Italia ha vinto la guerra contro il Nazismo, i partigiani hanno liberato l’Italia Settentrionale, ed erano i paladini della libertà, quando in realtà, per la maggior parte, erano comunisti, e auspicavano che in Italia comandasse Stalin. Ma già, i partigiani erano buoni e i repubblichini cattivi, mentre in realtà erano cattivi tutti, come avviene nelle guerre civili.
Infine, cosa che nessuno dice mai, secondo le Convenzioni di Ginevra i partigiani meritavano la morte senza processo, mentre tedeschi e repubblichini agivano in conformità a quelle norme. In guerra è permesso combattere ed anche uccidere, ma soltanto in divisa e con le armi ben in vista.
Per me il 25 aprile, se celebra il ricordo della guerra, è la ricorrenza di una tremenda, devastante, tragica sconfitta della mia Patria. Per fortuna siamo stati invasi da due popoli civili che ci hanno incoraggiati a scegliere il regime democratico. E ciò mentre metà dell’Europa era ridotta in schiavitù da quello Stalin invocato da tanti dei nostri partigiani. Più comunisti di Togliatti.
Gianni Pardo
25 aprile 2019
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