La differenza tra me e te
I difficili inizi di stagione delle neopromosse Empoli e Frosinone mettono in luce ancora una volta l’enorme divario che separa Serie A e Serie B. Un solco divenuto sempre più ampio nell’ultimo decennio e, in particolare, dal 2010, anno della scissione tra le due leghe.
Parma 13, Empoli 5, Frosinone 1. 19 punti totali in 24 giornate complessive (otto gare per squadra) per una media di 0,79. Statistiche e numeri che certificano le grosse difficoltà che le neopromosse stanno incontrando in questo primo scorcio di stagione.
Eccezion fatta per il Parma, balzato nella parte sinistra della classifica grazie alle quattro vittorie nelle ultime cinque giornate, Empoli e Frosinone si trovano relegate rispettivamente in terzultima e penultima posizione e oggi sarebbero condannate all’immediato ritorno in Serie B.
Le crisi della due squadre hanno radici diverse: i toscani, nonostante i pochi punti raccolti, hanno mostrato un’ottima organizzazione di gioco, caratteristica peculiare del club del presidente Corsi anche con i predecessori di Aurelio Andreazzoli durante le ultime avventure nella massima serie. L’ex tecnico della Roma, però, sta pagando soprattutto la sterilità del proprio attacco, evidenziata in maniera preoccupante dalla mancanza di continuità di Ciccio Caputo (alla prima vera esperienza in Serie A dopo la fugace apparizione del 2010 con il Bari) e dall’involuzione di Antonino La Gumina, lontano parente finora del giocatore protagonista con la maglia del Palermo.
In generale, la sensazione è che agli azzurri manchino i prospetti messisi in mostra con Maurizio Sarri e Marco Giampaolo nel fortunato biennio 2014-2016. A Zajc e compagni il compito di non far rimpiangere elementi del calibro di Rugani, Tonelli, Mário Rui, Laurini, Paredes e Saponara, tutti in grado di spiccare il volo verso lidi più importanti proprio grazie agli ottimi campionati disputati in Toscana.
Il Frosinone, invece, sembra in caduta libera ed è molto difficile pensare che la situazione possa essere di semplice risoluzione in tempi brevi. Il solo punto conquistato fino a questo momento è lo specchio dell’inadeguatezza dell’organico ciociaro, apparsa manifesta già durante l’estate nonostante il forte attivismo sul mercato. Irrealistico ritenere che un eventuale esonero dell’allenatore Moreno Longo possa mutare le sorti del club laziale. Sbagliato prendere ad esempio il Benevento dello scorso anno. Anche Roberto De Zerbi, subentrato a Marco Baroni dopo nove giornate con i sanniti ancora a zero punti, ha dovuto attendere il mercato di gennaio e gli arrivi di calciatori come Sagna, Sandro e Diabaté per togliersi di dosso la scomoda etichetta di vittima sacrificale, poter affrontare a viso aperto ogni partita e mostrare il bel gioco che lo ha condotto sulla panchina dell’ambizioso Sassuolo.
Le difficoltà delle neopromosse nel 2018/2019 non rappresentano naturalmente un unicum nella storia del calcio italiano. Eppure, è innegabile che tali difficoltà si siano amplificate nell’ultimo decennio, poiché, per ritrovare un’annata in cui tutte le squadre giunte in Serie A hanno poi mantenuto la categoria, bisogna tornare indietro al 2007/2008, quando le promosse si chiamavano Juventus, Napoli e Genoa e non possono quindi essere considerate vere e proprie pietre di paragone.
Nelle successive dieci stagioni, tra le tre retrocesse c’è sempre stato il nome di almeno una formazione che appena un anno prima aveva conseguito la promozione, con il picco negativo di ben due neopromosse immediatamente ritornate tra i cadetti toccato nel 2016 (Carpi e Frosinone) e nel 2018 (Verona e Benevento). Maglie nere di questa particolare classifica sono il Livorno, ultimo sia nel 2010 sia nel 2014, e il Pescara, anch’esso incapace di schiodarsi dal fondo della graduatoria nel 2013 e nel 2017.
Restando allo scorso campionato, solo la rimonta finale della Spal ai danni del Crotone ha evitato che si eguagliasse il record negativo del 1985/1986, quando, per la prima e finora unica volta, tutte e tre le neopromosse (Pisa, Bari e Lecce) retrocessero in Serie B. Ma all’epoca le squadre militanti in massima serie erano sedici, dunque quattro in meno rispetto alle venti odierne. Ciò, chiaramente, rendeva più difficile il mantenimento della categoria rispetto a oggi.
La stessa considerazione può essere applicata anche per gli anni ’90, in cui tre volte (1992, 1993 e 1997) tre retrocesse su quattro provenivano dalla serie cadetta. In quelle annate, tuttavia, l’organico del campionato era composto da diciotto club e i declassamenti erano quattro.
Cos’è cambiato oggi rispetto ad allora? La data spartiacque è rappresentata dal 7 luglio 2010, con la scissione in seno alla Lega Calcio e la nascita della Lega A e della Lega B. Da quel momento la Serie B ha dovuto camminare da sola, affrontando molteplici difficoltà organizzative ed economiche. Il grande lavoro svolto da Andrea Abodi, presidente della Lega B dal 2010 al 2017, ha rilanciato la serie cadetta: title sponsor, diritti televisivi, aumento degli spettatori negli stadi, innovazioni nel calendario (su tutte l’introduzione del Boxing Day sul modello inglese), sviluppo delle infrastrutture con il progetto “B Futura”, tetto salariale e blocco alle rose extralarge, con la possibilità di tesserare illimitatamente calciatori under-21.
Non è un caso che in questi anni la Serie B abbia visto un netto abbassamento dell’età media dei club e il lancio di un discreto numero di giovani promesse, specialmente italiane (Verratti, Insigne e Immobile i nomi più importanti). Tutto ciò, se da un lato ha garantito la sostenibilità del campionato, dall’altro ha aumentato il gap con la massima categoria, divenuta nel frattempo ancora più ricca con la vendita dei diritti tv a cifre da capogiro. Ѐ evidente che il livello complessivo della cadetteria si sia abbassato, allontanandosi dalla A e avvicinandosi alla C, come dimostrano i tanti doppi salti delle ultime annate dall’ex Lega Pro alla Serie A.
Un’ultima considerazione riguarda il meccanismo dei play-off. Dalla loro introduzione (era il 2004/2005), solo in tre circostanze (2006, 2012 e 2015) chi li ha vinti ha poi ottenuto la salvezza. Segno che gli spareggi di fine stagione hanno sicuramente reso più vivo il campionato cadetto, evitando partite inutili o scontate, ma hanno favorito il proliferare in Serie A di squadre con organici non all’altezza. Torna utile menzionare ancora il Benevento. I giallorossi, infatti, chiusero la Serie B 2016/2017 al 5° posto, a nove punti dal Frosinone terzo, ma, approfittando anche dell’harakiri ciociaro nella postseason, ottennero la loro prima storica promozione, pagata a caro prezzo con i tanti primati negativi dello scorso anno.
Come fare per provare a invertire la tendenza? Il provvedimento più immediato potrebbe essere destinare il tanto discusso paracadute non più alle squadre retrocesse dalla Serie A, ma a chi ottiene la promozione. In tal modo, questi club avrebbero la possibilità di poter agire sul mercato non solo attraverso i prestiti o l’arrivo di giocatori ormai sul viale del tramonto. E, probabilmente, assisteremo a lotte per la salvezza più equilibrate, con la necessità, per chi vuole raggiungere questo obiettivo, di dover tornare a toccare la fatidica quota dei 40 punti, da sempre indicata come basilare per mantenere la categoria, ma da troppi anni ormai non più imprescindibile.
Stefano Scarinzi
21 ottobre 2018
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