La concessione dei beni demaniali: manca un effettivo e concreto controllo sulle procedure e attività interne e concede troppa autonomia nella gestione del personale e riutilizzo dei proventi aziendali.
L’art. 822 c.c. dispone che: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”. Successivamente il Regio Decreto è stato oggetto di integrazioni, abrogazioni ma il contenuto, sostanzialmente, almeno per quanto riguarda la definizione di cos’è un bene demaniale, è rimasto lo stesso.
Senza addentrarci più specificamente nella dottrina, ci è utile ricordare che i beni demaniali possono essere dati in concessione o in locazione; in questi casi il concessionario è dovuto al pagamento di un canone allo Stato. Quindi il punto forte della regolamentazione dell’utilizzo di un bene pubblico da parte di un privato, e quindi di un bene destinato al “benessere/utilizzo della collettività”, ove possibile, tramite concessione o locazione, è la convenzione e cioè la concessione della gestione.
E’ strano come mai si parli così poco del contenuto delle convenzioni che hanno per oggetto la concessione dei beni demaniali e come mai sia difficile la reperibilità di tali documenti pur essendo state, parte di loro, a seguito di eventi nefasti quali la caduta del ponte Morandi, pubblicate sul sito del ministero nella relativa sezione. Eppure a scorrere queste convenzioni, che a volte constano di un’infinità di pagine e di allegati, è subito evidente l’oggetto principale della regolamentazione che è propriamente economica. Si del bene pubblico si cerca di regolamentare al meglio, ma neanche perfettamente, i corrispettivi che a varia natura vanno allo stato e ciò che è di incasso aziendale per la gestione del servizio o immobile o attività.
Nella lettura di queste convenzioni, ormai standard, si rileva la mancanza di una parte importante di regolamentazione. Manca la verifica efficace (e questo aspetto ha fatto già più volte notizia sui quotidiani nazionali e all’estero), mancano figure che controllano efficacemente e con conseguenti e concreti risultati. Si perché in primo luogo non è possibile pensare che il controllo, sulle modalità operative e sul rispetto della Convenzione, sia affidato ad un solo centro di potere, una sola figura, una sola persona dalla quale dipendono certamente altre persone, uno staff di collaboratori, ma di cui i risultati finali dell’attività, l’ok sul risultato finale della verifica sia nelle mani di una sola figura per settore. Sembra un volere preciso. Certo, se bisogna influenzare o indicare il risultato finale di un’attività è molto più semplice farlo avendo una sola persona come centro decisionale ultimo di un’attività di un settore specifico mentre sarebbe opportuno che anche all’interno dello stato venisse applicata una sorta di D. Lgs 231/01, e quindi prevedere varie figure di controllo e responsabilità per uno stesso processo, che devono arrivare ad una conclusione comune e quindi una sorta di controllo reciproco. Ciò potrebbe non renderli esimenti da conclusioni superficiali o conniventi, che attualmente portano solo ad un trasferimento in altro ufficio o altra Città, ma potrebbero essere estromessi da un ruolo nato a tutela degli interessi della Comunità.
Le convenzioni mancano, inoltre, di una base di riferimento per una gestione etica del personale.
La maggior parte dei concessionari attuano, tra le prime cose, la riduzione del personale, anche con modalità non proprio corrette evidenziando l’incompatibilità tra la concessione per la gestione di un bene comune e la estromissione di personale presente o futuro nella gestione. Se parliamo di un bene comune l’imprenditore che viene ad utilizzare o gestire questo bene e al quale viene data la possibilità di arricchimento, tramite la gestione del bene stesso, dovrebbe avere la “decenza” di mantenere ed, eventualmente, aumentare l’occupazione ma non ridurla. Un arricchimento eccessivo su un bene comune a discapito dei lavoratori già presenti in azienda o della futura occupazione non dovrebbe essere lasciato al libero arbitrio del privato. Così come il controllo equilibrato nella gestione del personale e quindi un’organizzazione aziendale che si basi sul rispetto e la crescita professionale dei lavoratori.
Lo stato su questa tematica non può lavarsene le mani come Pilato. Quanto sopra dovrebbe essere una sorta di dovere civico per i concessionari.
Troppo spesso i concessionari si sentono padroni del bene comune e attuano comportamenti che mal si conciliano anche con le disposizioni dei nostri codici, sia civile che penale, e il clima aziendale, e la vita stessi dei lavoratori risulta compromessa, spesso, senza via di scampo.
E che dire dei proventi che vengono, usualmente, impegnati in finanziamenti di attività in altre Città o altri Stati rispetto a dove il provento dell’azienda viene prodotto destinando al territorio di origine della ricchezza dell’imprenditore, nulla. Il mancato finanziamento di iniziative sul territorio dove il concessionario svolge la propria attività, la riduzione del personale, la mancata professionalizzazione del personale stesso denota una mancanza di rispetto da parte dell’imprenditore della popolazione che lo accoglie sul proprio territorio e che gli produce ricchezza. Denota mancanza di etica, di professionalità vera e non di meno dei diritti sui quali si fonda il nostro ordinamento, possiamo affermare mancanza di rispetto della Costituzione, a cui tanti stati si sono ispirati e che si fonda sui diritti di affermazione e benessere della persona espressi a vario modo.
Lisa Muto
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