Il fato dell’economia
Tutti sanno che l’Olimpo era affollato di dei. Magari qualcuno, per dovere d’ufficio, se ne allontanava: Apollo doveva guidare il carro del sole, Poseidone doveva occuparsi del mare, ma essenzialmente questa grande e variegata compagnia era immortale e faceva la bella vita, pasteggiando a nettare e ambrosia. C’era un capo, ovviamente, Zeus, ma saggiamente il padre degli dei era occupato, più che a dare ordini, a correre dietro le donne. Era un adepto ante litteram dello Stato minimo.
Immortali e felici, si è detto: ma non del tutto liberi. Non a causa di Zeus, ma perché, al di sopra di tutti loro, c’era una forza imperscrutabile e irresistibile. Achille riesce ad uccidere Ettore perché Atena corregge la traiettoria della sua lancia, e tuttavia, se il Fato avesse voluto che fosse Ettore, ad uccidere Achille, così sarebbe stato. Perfino contro la volontà di Atena.
I competenti probabilmente avranno brillanti teorie al riguardo, ma il profano potrebbe osservare che questa idea è sorprendentemente scientifica e costituisce un riconoscimento, forse inconscio, dell’ineluttabilità della catena causale. Non è intuizione da poco. L’essere umano, al contrario, si sente responsabile dei suoi scopi, delle sue azioni, spesso anche dei risultati raggiunti, e ne ricava l’idea antropomorfica di una realtà intera che coscientemente abbia delle intenzioni e addirittura possa essere deviata dal suo corso naturale con la magia o con i sacrifici. Anche la Chiesa Cattolica ha del resto previsto, in caso di siccità, che si reciti la preghiera “pro pluvia”, per la pioggia: in un certo senso un passo indietro rispetto al Fato, concepito invece come inflessibile e ineluttabile.
A ciò si è tentati di pensare riflettendo sugli infiniti trucchi inventati in questi anni per menare per il naso l’economia. In un giro vorticoso di debiti, di crediti, di interessi, di arcane manovre finanziarie in cui chiunque non sia uno specialista si smarrisce, il mondo sviluppato ha fatto addensare sulla sua testa un immenso nuvolone che fatalmente – e mai avverbio fu più azzeccato – si scioglierà in un diluvio di guai. Semplicemente perché, se si creano le cause di certi effetti, questi effetti conseguiranno necessariamente.
È quello che si è fatto in Europa e nel mondo. Una volta che il pericolo è stato avvistato, si è cercato di metterci rimedio ma era ormai troppo tardi. Allora si è ricorsi alla retorica, dichiarando inverosimile, anzi impossibile, ciò che al contrario è inevitabile. E naturalmente – almeno per qualche tempo – le parole esorcizzano i fatti, tanto che si è riusciti a rinviare l’epilogo indesiderato. Finché la barca va, c’è chi ci guadagna, anche economicamente. Ma ci si stupisce di vedere interi popoli alfabetizzati e civili mancare di mentalità scientifica. Un esempio chiarirà questo concetto. Che vuol dire che un dato manufatto ha una grandissima resistenza? Nulla. Questa è letteratura. Scientificamente ciò che conta è lo “stress test”. Si sottopone il pezzo ad una crescente sollecitazione, finché non collassa: ed è il quantum della sollecitazione, che determinerà la valutazione esatta della resistenza. E un punto va sottolineato: il collasso è fatale, in quanto nessuna struttura dispone di una resistenza infinita.
La conseguenza è valida anche nel campo economico. Se la situazione si aggrava costantemente – per esempio con l’aumento inarrestabile del debito pubblico – la crisi non è “eventuale”, è “inevitabile”. Accumulando le cause, per un certo effetto il dubbio non riguarda più il “se” ma il “quando”. Ed è per queste ragioni che bisogna seguire il problema della Grecia con un double standard intimo. Da un lato ricordando che come siamo riusciti a superare tante crisi in passato, probabilmente usciremo indenni anche da questa. Dall’altro pensando che questo potrebbe essere il terremoto finale, il “big one”. E ci dovremmo disporre a sopportarlo stoicamente.
Certi fatti sono tanto sgradevoli quanto prevedibili, ed è questa la ragione per la quale le persone di buon senso fanno testamento. Analogamente, sarebbe stato meglio – anzi, sarebbe meglio – se l’Europa predisponesse tutto ciò che è necessario per evitare che il “big one” ci trovi impreparati. Dovremmo almeno limitare i danni. Ma gli sciocchi non fanno testamento per evitare di morire. E infatti sono immortali.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
6 febbraio 2015
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