I contro-crociati
Anche se non si è particolari estimatori di Ernesto Galli Della Loggia, bisogna riconoscere che il suo articolo “Noi in fuga dalla realtà” è pregevole e largamente condivisibile. Fra le forse troppe domande che pone c’è questa: “Perché si possa parlare di guerra di religione [è necessario] che entrambi gli avversari la proclamino tale, o non basta invece che lo faccia uno solo?” L’editorialista sembra propendere per quest’ultima ipotesi, ma l’affermazione è discutibile. Può darsi addirittura che sia soltanto un avvitamento verbale, come quando certi credenti, discutendo con un ateo, dicono: “Ma in Dio credi anche tu, visto che ne parli”.
Se – per ipotesi – i Paesi occidentali andassero ad attaccare i fanatici dello Stato Islamico della Siria e del Levante (SISL) per convertirli al Cristianesimo, e se quelli si difendessero in nome dell’Islàm, sarebbe sicuramente una guerra di religione. La quale, come dice giustamente Galli Della Loggia, non è affatto una cosa assurda: è soltanto fuori moda in Europa. Se invece gli aggrediti reagissero non per difendere la loro fede ma esclusivamente per non essere invasi, o se gli aggressori cristiani li attaccassero soltanto per motivi politici, non per convertirli, questa non sarebbe una guerra di religione. Quand’anche gli aggrediti si difendessero in nome dell’Islàm. Una guerra di religione richiede che ambedue le parti combattano per la loro fede. È inutile perdere tempo a contestare la ministra Mogherini quando afferma che: “non c’è nessuno scontro di civiltà o guerra di religione”. Se qualcuno si sente attaccato è normale che si difenda, senza scomodare la civiltà o la religione.
Galli Della Loggia si chiede poi come mai persone nate e vissute in Paesi occidentali un giorno decidono che la civiltà di questi stessi Paesi è intollerabile e per combatterla vanno ad intrupparsi nel movimento del sedicente Califfo al-Baghdadi. Egli ne discute per riaffermare il valore della parola “civiltà”, per ammettere che fra di esse possono esserci scontri e per smentire il relativismo che pareggia tutte le “culture”, ma non dà nessuna risposta alla sua stessa domanda.
La civiltà occidentale è largamente irreligiosa. Sotto l’influenza dell’Illuminismo prima, della scienza poi, e infine dello straordinario sviluppo della tecnologia, ha finito con l’avere una mentalità pragmatica e perfino materialista. La maggior parte degli europei non si strapazza a negare l’anima immortale o la Provvidenza Divina, come faceva Voltaire: si limita ad ignorarle. Sono idee belle ma stravaganti. Nessuno più crede alla metafisica religiosa come si crede all’efficacia degli antibiotici. La stragrande maggioranza delle persone è materialista de facto: cerca di avere delle soddisfazioni, di affermarsi, di guadagnare, di farsi una famiglia, di divertirsi, e in realtà la sua vita – che si conclude fatalmente con una morte che azzera assolutamente tutto – metafisicamente non ha senso.
Ma tutto ciò, soprattutto in alcuni, non ha eliminato (e come avrebbe potuto?) la molla che ha fatto nascere le religioni e che ancora spinge alcuni a farsi preti o monaci. Mentre dunque la gran massa riesce a non porsi domande, ci sono coloro che a questa mentalità non si rassegnano. “Non può essere che la vita non abbia senso”. “Non può essere che tutto sia dominato soltanto dalla legge di causalità “. “Non può essere che io sia così infelice e nessuno mi aiuti”. Ne nasce un’irrefrenabile spinta verso il mistero (“Gli Ufo esistono, sono gli alieni che vengono a farci visita”), verso le verità alternative (l’omeopatia al posto della medicina), verso gli sport pericolosi (il bungee jumping, per sentirsi degli eroi), e infine l’estremismo morale (andare a curare i malati di Ebola o i figli dei terroristi islamici) e la spinta verso la religione. Questa riassume in sé il mistero, la visione alternativa della realtà, il martirio (o almeno l’emarginazione sociale) e soprattutto dà un senso alla vita, che vale più della vita stessa.
Tutto questo spiega dal lato mediorientale i kamikaze islamici e dal lato europeo la partenza per queste contro-crociate. Fenomeni che non si verificavano nell’Ottocento, quando gli islamici non pensavano minimamente ad allontanarsi dal loro mondo e l’Europa era più cristiana.
Oggi i musulmani poveri che vivono in Occidente sono particolarmente frustrati perché il mondo della loro famiglia è ancora largamente religioso ed essi percepiscono dunque più di altri il contrasto tra loro stessi e un Occidente prospero e sostanzialmente ateo. Si aggrappano dunque a quella Fede che costituisce la loro unica ancora di salvezza, sia come visione della vita, sia come dignità personale, e nel frattempo forniscono un esempio di metafisica ed eroica passione ai filistei disadattati che fabbrica la nostra società, e li trasforma in disponibili martiri e volenterosi boia.
Gianni Pardo – pardonuovo@myblog.it
22 agosto 2014
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