Cina e nuova via della Seta, per l’Italia chance o trappola?
Post di Mario Angiolillo, direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute, sulle opportunità e minacce della “nuova via della seta”, pubblicato su ilsole24ore.com.
Il Governo Italiano potrebbe essere il primo tra i Paesi del G7 a sottoscrivere con la Repubblica Popolare Cinese il memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, il progetto lanciato nel 2013 dal presidente Cinese Xi Jinping con l’obiettivo di creare un grande spazio economico eurasiatico, un ponte tra Oriente e Occidente, per agevolare e incentivare la collaborazione economica, commerciale e diplomatica tra i Paesi raggiunti dalla nuova Via della Seta.
La firma è attesa per il 22 marzo, data della prima visita in Italia di Xi Jinping, e segue gli accordi intercorsi lo scorso gennaio in occasione della visita in Italia del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Al momento il protocollo di intesa è stato firmato da circa 80 Paesi nel mondo, ma in Europa soltanto da Ungheria, Polonia, Portogallo e Grecia.
Il sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico Michele Geraci ha dichiarato che si tratterebbe soltanto di un accordo quadro, che al momento non prevede né obblighi né fondi, in cui verrebbero individuati alcuni settori strategici all’interno dei quali potranno essere in futuro realizzate possibili iniziative ed investimenti congiunti tra Italia e Cina, nel quadro del progetto Belt and Road Initiative.
L’entità complessiva degli investimenti previsti dal progetto Cinese è sontuosa e prevede una serie di iniziative secondo lo schema della partnership pubblico-privato tra soggetti internazionali.
ll Governo Cinese investirà ingenti risorse ma all’interno dei singoli progetti sono previsti anche investimenti pubblici da parte dei Paesi toccati dalla BRI e da parte di soggetti privati.
Per supportare una così ingente quantità di investimenti è stata costituita dal Governo Cinese una Task Force finanziaria, con presenza di azionisti anche esteri, composta da ICBC (Industrial and Commercial Bank of China) che dispone al momento di un fondo dedicato ai progetti BRI per un ammontare pari a 460 miliardi di dollari, AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank) con un fondo di 100 miliardi di dollari e Silk Road Fund con una dotazione di 40 miliardi di dollari.
Secondo le stime dell’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino almeno 1700 miliardi di dollari saranno investiti nel complesso degli interventi programmati.
L’Italia aveva già avviato, con il governo Gentiloni, un percorso di monitoraggio e di avvicinamento a questo progetto che ha poi portato alla costituzione di una Task Force composta tra gli altri da Mise, MeF, Istituto Commercio Estero, Cassa Depositi e Prestiti, SACE, Eni, Enel, Intesa San Paolo e Politecnico di Milano, con l’intento, tra l’altro, di dare vita ad iniziative promozionali e diplomatiche per favorire le relazioni tra le aziende italiane e le aziende, pubbliche e private, presenti in questi Paesi e per favorire la diffusione informativa dei bandi di gara promossi per i progetti BRI.
Altri protocolli di intesa sono poi stati firmati nel settore finanziario dalla Cassa depositi e prestiti per la creazione di prodotti finanziari specifici finalizzati al sostegno di iniziative Italia-Cina e dal polo Sace-Simest per la realizzazione di prodotti assicurativi specifici per l’export e l’internazionalizzazione verso la Cina.
In questo contesto è poi da segnalare l’acquisizione da parte di Cosco (China Ocean Shopping Company) del 40% del porto di Vado Ligure e il successivo incremento della presenza nel porto di Venezia attraverso l’Ocean Alliance. Senza dimenticare le aspirazioni del porto d Trieste ad essere una dei punti di snodo della direttrice marittima della Nuova Via della Seta, la cosiddetta Maritime Silk Road.
Di certo l’entità delle interrelazioni commerciali Italia Cina non è secondaria. Gli scambi commerciali con la sola Cina ammontano secondo l’OEC, ad un importo annuo pari a 43 miliardi di dollari. E già oggi i Paesi dell’Area BRI acquistano circa il 27% dell’intero export italiano con una stima di crescita nei prossimi quattro anni pari ad oltre il 25%.
Non bisogna però dimenticare le perplessità legate alla Belt and Road Initiative rilanciate con forza in queste ore, in relazione alla possibile adesione italiana, dal portavoce del Consiglio per la Sicurezza della Casa Bianca, proprio nel momento in cui gli U.S.A. stanno compiendo il massimo sforzo negoziale con la Cina per trovare una soluzione in grado di archiviare le forti tensioni commerciali tra i due Paesi.
Tali perplessità riguardano diversi aspetti del progetto BRI.
In primo luogo relative al rispetto delle normative da parte dei soggetti coinvolti nei progetti avviati. È questo ad esempio il caso della linea ferroviaria Belgrado-Budapest che ha visto l’opposizione dell’UE che ha ravvisato il sospetto di presunte irregolarità sul rispetto delle normative comunitarie.
La scorsa settimana, anche con un occhio rivolto all’attivismo di Pechino, il Consiglio Europeo ha approvato un regolamento per verifiche più efficaci sugli investimenti esteri in Europa. Cosi come da tempo sono numerose le pressioni affinché l’area BRI si caratterizzi effettivamente come uno spazio commerciale che operi nel rispetto delle regole del mercato.
C’è poi il tema economico-finanziario. Alcune perplessità sono state riscontrate su quanto accaduto in Paesi quali Pakistan, Sri Lanka o Mongolia, dove gran parte delle operazioni di competenza di questi Paesi è stata finanziata con ingenti risorse da banche e imprese Cinesi, di fatto legando i Paesi beneficiari alla Cina in uno stretto legame di dipendenza economico-finanziaria.
Infine, ma certamente non per ultimo, c’è il tema legato alla portata geopolitica di questa operazione. La presenza delle aziende e delle banche cinesi all’interno dei Paesi toccati dal progetto, molto spesso con il controllo diretto, o indiretto, di importanti infrastrutture strategiche, creerebbe una evidente rendita di posizione economica e geopolitica che è uno degli obiettivi, anche se non del tutto dichiarati, dell’iniziativa del presidente Xi Jinping.
Al momento, stando a quanto dichiarato dal Ministero dello Sviluppo Economico, sono ancora in corso le trattative per la stesura definitiva del memorandum d’intesa, tanto che la sua sottoscrizione non sarebbe ancora data per certa. Se potremmo probabilmente considerare come un errore opporsi in maniera pregiudiziale ad una partecipazione italiana al progetto BRI, lo sarebbe altrettanto parteciparvi ad ogni costo.
La sottoscrizione di un accordo quadro, se nelle caratteristiche enunciate in queste ore, data la sua genericità, potrebbe non avere controindicazioni per il nostro sistema Paese, lasciando invece aperte le opportunità che il progetto BRI può offrire. Ma al contempo è essenziale che sin dall’eventuale sottoscrizione dell’accordo quadro sia ben chiara la linea sulla assoluta tutela dell’interesse nazionale italiano nel controllo, in ogni forma esso si manifesti, di asset strategici per il nostro Paese, così come dovrebbe essere ben chiara e determinata la reciprocità in termini di bilanciamento dei benefici attesi dalla partecipazione al progetto.
Una menzione a parte necessitano gli aspetti diplomatici della vicenda.
Sarebbe un errore lasciar cadere inascoltate le preoccupazioni manifestate da Washington per cui sarebbe opportuno sin da subito attivare la linea diplomatica e di amicizia che da sempre lega il nostro paese agli U.S.A.
Così come la seduta del Consiglio Europeo che si terrà il 21 e 22 marzo prossimi, in cui ci sarà una sessione dedicata alla preparazione del vertice UE-Cina del 9 aprile, potrebbe rappresentare un’ottima occasione per un confronto ed un coordinamento.
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