C’era una volta in Italia
Con gli ottavi di finale l’Europa League entra nella sua fase più calda. Inter e Napoli sognano di arrivare a Baku e di riportare in Italia una coppa che manca dal 1999.
12 maggio 1999: il Parma travolge l’Olympique Marsiglia e vince per la seconda volta nella sua storia la Coppa UEFA, chiudendo al meglio il decennio di dominio delle rappresentanti italiane nella competizione. Da quel successo, nessun club del Bel Paese è stato in grado non solo di vincere la manifestazione, ma anche di giungere all’ultimo atto. 20 anni di astinenza dunque, un’eternità nel mondo del calcio.
Per cercare di interrompere questo lungo digiuno, l’Italia, dopo le premature eliminazioni di Atalanta, Milan e Lazio, si affida a Inter e Napoli, entrambe “retrocesse” dalla Champions League e da inserire tra le pretendenti più accreditate per la vittoria. Le due formazioni, però, giungono alla settimana del doppio confronto in modi diametralmente opposti.
L’Inter, che nei sedicesimi ha eliminato senza difficoltà il Rapid Vienna, è alle prese da quasi un mese con lo spinoso caso Icardi. La querelle relativa al rinnovo del contratto ha spinto la società, proprio alla vigilia del match d’andata contro gli austriaci, a togliere la fascia di capitano all’attaccante argentino, il quale, da allora, non è più sceso in campo a causa di un presunto problema al ginocchio.
A peggiorare ulteriormente il già complicato avvio di 2019 hanno pensato gli ultimi due risultati di Serie A: il 3-3 di Firenze e la sconfitta di Cagliari hanno costretto i nerazzurri a subire il sorpasso del Milan, issatosi ora al terzo posto, e a dover sudare per accedere alla prossima Champions League. Difficile prevedere solo qualche mese fa un campionato di questo tipo per il club della famiglia Zhang, da molti accreditato come principale rivale della Juventus nella lotta al titolo.
Ecco perché l’Europa League rappresenta per l’Inter il salvagente ideale per una stagione che rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo. Inoltre, un eventuale successo permetterebbe ai nerazzurri, tre volte vincitori dell’ex Coppa UEFA, sia di diventare la squadra italiana con il maggior numero di affermazioni nella manifestazione (primato condiviso con la Juve) sia di consolidare la posizione tutt’altro che solida di Luciano Spalletti, sulla cui panchina da tempo circolano le ombre di Antonio Conte e José Mourinho.
Sulla strada che porta allo Stadio Olimpico di Baku, tuttavia, l’Inter dovrà faticare parecchio per avere ragione dell’Eintracht Francoforte. La squadra allenata da Adolf “Adi” Hütter, formatosi nel laboratorio del Red Bull Salisburgo e capace di spodestare il Basilea dal trono di Svizzera con lo Young Boys, arriva all’appuntamento con un ruolino di marcia impressionante: sette vittorie (due contro la Lazio nella fase a gironi, chiusa a punteggio pieno) e un solo pareggio, maturato in Ucraina nell’andata dei sedicesimi contro lo Shakhtar Donetsk, poi demolito in Germania con un netto 4-1.
Le Aquile, dopo aver rischiato la retrocessione nel 2016, hanno conosciuto un’escalation continua, giungendo due volte consecutive in finale di Coppa di Germania, conquistata lo scorso maggio contro la corazzata Bayern Monaco. Enormi i meriti del tecnico Niko Kovač, premiato dalla chiamata proprio dei bavaresi. Nonostante l’addio dell’allenatore croato, il club di Francoforte non ha minimamente rallentato la sua crescita e in questa stagione sogna di potersi qualificare in Champions League, in cui fu finalista sconfitto nel 1960, e di poter mettere in bacheca la seconda Coppa UEFA/Europa League della propria storia dopo la vittoria del 1980.
Gran parte delle speranze dell’Eintracht sono riposte nella coppia d’attacco formata da Luka Jović e Sébastien Haller, la più prolifica sia della Bundesliga sia dell’Europa League. Jović, 22 anni ancora da compiere e in prestito biennale dal Benfica, ha catturato l’attenzione dei top club europei grazie alle impressionanti performance di questa stagione: 15 reti in Bundesliga, di cui è capocannoniere insieme al solito Lewandowski, e 6 in Europa League, a una sola marcatura da Dabour del Salisburgo.
12 gol in Bundesliga, con annessi 9 assist (terzo dietro ai soli Sancho e Kimmich), e 5 in Europa League, invece, per il compagno Haller, 25 anni a giugno, capace di confermare le ottime medie realizzative fatte registrare durante l’avventura in Olanda con l’Utrecht.
Avversario più che scomodo anche per il Napoli di Carlo Ancelotti, che dovrà fronteggiare il Salisburgo di Marco Rose. Il club, dal 2005 di proprietà della Red Bull, pur non essendo ancora riuscito a entrare nella fase a gironi della Champions League, è ormai divenuto una realtà della seconda manifestazione continentale. Un anno fa solo un gol dell’ex napoletano e interista Rolando a pochi minuti dal termine dei supplementari impedì agli austriaci di raggiungere l’ultimo atto della manifestazione, evento già accaduto nel 1994, quando l’allora Casino Salisburgo dovette inchinarsi all’Inter.
In questa stagione, benché abbiano inopinatamente perso la possibilità di partecipare alla Champions, i biancorossi hanno mostrato tutta la loro forza tanto in patria, dove si preparano a festeggiare la vittoria del tredicesimo campionato (il sesto consecutivo e il decimo dall’avvento della Red Bull), quanto in Europa, come testimoniano le sei vittorie su sei nel girone (in cui era presente il Lipsia, anch’esso sponsorizzato dal colosso austriaco delle bevande) e il 4-0 inflitto nel ritorno dei sedicesimi al Bruges, che ha permesso di ribaltare la sconfitta dell’andata, l’unica finora nella competizione.
La sensazione è che il Napoli parta comunque con i favori del pronostico, forte di una maggiore qualità tecnica e dell’esperienza del proprio allenatore, che sa perfettamente come giungere fino in fondo nelle manifestazioni internazionali. Gli azzurri, sbarazzatisi facilmente dello Zurigo nel turno precedente, arrivano al doppio appuntamento accompagnati da un’ottima condizione fisica, come dimostrato nel big match contro la Juventus, messa alle corde per buona parte della partita malgrado il KO.
La sconfitta nello scontro diretto del San Paolo ha chiuso definitivamente le flebili speranze di riaprire il discorso scudetto, ma, considerando il notevole vantaggio sulle inseguitrici in ottica Champions, potrebbe consentire al Napoli di concentrare le energie fisiche e mentali sull’Europa League, divenuto l’obiettivo principale dell’annata. Un ipotetico successo consentirebbe ai partenopei di aggiungere al palmarès il secondo alloro internazionale dopo la Coppa UEFA del 1989 e di alzare nuovamente al cielo una coppa, evento che non si verifica da oltre quattro anni.
Oltre alle due italiane, le maggiori pretendenti alla vittoria della competizione sono senza dubbio Arsenal e Chelsea. I Gunners, che hanno eliminato con qualche patema il BATE Borisov, possono contare sul feeling tra Unai Emery e la competizione, che il tecnico basco ha conquistato tre volte di fila quando guidava il Siviglia, ma dovranno rinunciare in entrambe le partite degli ottavi ad Alexandre Lacazette, espulso in Bielorussia e squalificato per tre turni.
La vittoria dell’Europa League spalancherebbe ad Aubameyang e compagni le porte della Champions League, non facilmente raggiungibile attraverso la Premier League, dove è serrata la lotta tra Arsenal, Tottenham, Manchester United e Chelsea per accaparrarsi due posti nella manifestazione più importante d’Europa.
L’abbinamento contro il non irresistibile Rennes, solo decimo in Ligue 1, ma capace di eliminare a sorpresa il Betis Siviglia e ispirato dai talentuosi e incostanti M’Baye Niang (ex Milan, Genoa e Torino) e Hatem Ben Arfa, sembra un buon viatico per arrivare fino a Baku.
Sorteggio benevolo anche per il Chelsea di Maurizio Sarri, che sembra aver allontanato almeno per il momento lo spettro dell’esonero. I Blues, vincitori della competizione nel 2013, sfideranno la Dinamo Kiev, distante dallo Shakhtar in campionato e vogliosa di cercare la grande impresa, e sarà interessante capire se il tecnico italiano continuerà a schierare le seconde linee come avvenuto finora o metterà in campo la miglior formazione possibile per provare a conquistare il primo titolo della sua carriera.
Dinamo Zagabria-Benfica, Valencia-Krasnodar e Siviglia-Slavia Praga appaiono sfide dal pronostico chiuso con le tre formazioni iberiche nettamente favorite.
Il Benfica, che nell’ultimo weekend ha conquistato la vetta del campionato a scapito del Porto, battuto nello scontro diretto dello Stadio do Dragão, è stato completamente trasformato dall’avvento sulla panchina di Bruno Lage, nominato in un primo momento allenatore a interim dopo l’esonero di Rui Vitória e poi confermato almeno fino al termine della stagione. Dal 3 gennaio, giorno dell’insediamento dell’ex allenatore del Benfica B, i lusitani hanno inanellato nove vittorie consecutive nella Liga portoghese e il passaggio del turno in Europa League contro il Galatasaray.
Le Águias, sempre sconfitte nelle tre finali disputate (ancora fresco il ricordo del doppio KO del 2013 e del 2014), vogliono finalmente interrompere la maledizione di Béla Guttman, che li affligge ormai dal lontano 1962. Da allora, il Benfica ha disputato nove finali internazionali senza mai vincere.
La Dinamo Zagabria è probabilmente la più grande sorpresa di quest’edizione dell’Europa League. Allenata da Nenad Bjelica, tra il 2014 e il 2015 sulla panchina dello Spezia in Serie B, la rosa croata presenta vecchie conoscenze del calcio italiano (Mario Šitum e Bruno Petković) e alcuni giocatori che non sono riusciti a imporsi nei maggiori campionati europei, ma stanno facendo le fortune della Dinamo, come Mario Gavranović e Izet Hajrović, entrambi con un passato poco fortunato in Germania.
Stagione davvero strana quella vissuta finora dal Valencia di Marcelino. Gli spagnoli, vincitori della Coppa UEFA nel 2004, sono distanti sei punti dal quarto posto che vale la qualificazione in Champions League, zavorrati da 15 pareggi (a un passo il record di 18 del Deportivo La Coruña), ma hanno appena raggiunto la finale di Coppa del Re contro il Barcellona e hanno le carte in regole per poter compiere un bel cammino anche in Europa League, dove il prossimo ostacolo è rappresentato dal Krasnodar, capace di eliminare il Bayer Leverkusen nei sedicesimi.
Dici Europa League e pensi subito al Siviglia, padrone indiscusso della manifestazione, conquistata cinque volte negli ultimi 13 anni. Per quanto il vistoso calo accusato in Liga (appena un punto nelle ultime cinque partite e, in generale, solo due vittorie in tredici gare da dicembre a oggi) abbia spinto gli andalusi fuori dalla zona Champions, il tecnico Pablo Machín, artefice negli scorsi anni della scalata del Girona, ha gli uomini giusti per arrivare a Baku e imprimere ancora di più il marchio rojiblancos sulla competizione.
A fronteggiare il Siviglia, nella cui rosa sono presenti ben sei giocatori transitati con alterne fortune nel campionato italiano (Kjær, Banega, André Silva, Gonalons, Rog e Vázquez), c’è lo Slavia Praga, impegnato in un’appassionante testa a testa in patria con il Viktoria Plzeň e voglioso di ripetere il cammino del 1996, quando giunse sino alle semifinali di Coppa UEFA.
Più equilibrato appare il confronto tra Zenit San Pietroburgo e Villarreal. I russi, indeboliti a gennaio dalla cessione al PSG di Leandro Paredes, sono riusciti a evitare già due volte una più che probabile eliminazione: prima in estate, quando il clamoroso 8-1 di San Pietroburgo ha permesso loro di ribaltare il 4-0 rimediato a Minsk, poi nei sedicesimi, con il gol del 3-1 dell’iraniano Azmoun decisivo per eliminare il Fenerbahçe, vittorioso 1-0 a Istanbul. L’organico è strutturato per bissare il successo ottenuto nel 2008, anche se non sarà affatto semplice superare lo scoglio del Sottomarino Giallo, che sta vivendo un’annata a due facce: felice in Europa, dove la squadra è ancora imbattuta, e depressa in Liga, con il terzultimo posto attuale che vorrebbe dire retrocessione in Segunda División.
Conferme, riscatti e sogni: ecco gli ingredienti che caratterizzano le sedici formazioni in corsa e rendono ogni anno più appetibile l’Europa League.
Stefano Scarinzi
6 marzo 2019
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