Bilancio UE: le linee guida della Strategia Europa 2020 per la crescita
Articolo di Roberto Giuliani, Paolo Carotenuto e Loredana Orlando, pubblicato nel Dossier UE di SRM – Aprile 2013.
Un bilancio da più parti considerato di austerità: per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, il tetto complessivo di spesa subisce una riduzione rispetto all’ultimo bilancio, relativo al periodo 2007-2013, pari a 34 miliardi a livello di impegni (960 miliardi) e 34,6 miliardi per quanto concerne i pagamenti effettivi (908,4 miliardi). È questo l’esito delle lunghe consultazioni che hanno portato la maggioranza dei capi di stato e di governo dei paesi membri dell’eurozona riuniti a Bruxelles per il vertice sul Bilancio Ue il 7 e 8 febbraio, all’approvazione delle proposte del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, in riferimento alle linee guida del bilancio comunitario 2014 – 2020.
La bozza è stata nel contempo definita conservatrice in quanto conferma i finanziamenti ai settori tradizionali di spesa, comprimendo le aree strategiche per la crescita e lo sviluppo economico: infrastrutture, innovazione e ricerca.
Piccoli incrementi di spesa si registrano nell’erogazione di fondi per la Politica Agricola Comunitaria, la PAC, cui viene riservato un incremento di poco più di un miliardo di euro, mentre crescono di quasi 5 miliardi i fondi per la coesione economica, sociale e territoriale.
Previsti stanziamenti anche per l’Italia: 3 miliardi in più da distribuire nelle note relative alle regioni meno sviluppate e allo sviluppo rurale.
Non si evidenzia un particolare incremento nello stanziamento di fondi contro la disoccupazione giovanile con circa 6 miliardi di euro cui potranno accedere i Paesi dove il tasso di disoccupazione supera il 25%, (Spagna, Italia, Portogallo e Grecia); confermato anche il fondo per gli aiuti ai cittadini a rischio povertà: 2,1 miliardi.
Per quanto concerne il capitolo Connecting Europe, settore nevralgico per la realizzazione di infrastrutture nei trasporti, nelle reti e nell’energia: 29,3 miliardi (23 per i trasporti, 5 all’energia, 1 alle telecomunicazioni) 20 in meno del budget inizialmente previsto.
Ricordiamo che quella approvata è solo una bozza che necessita dell’approvazione del Parlamento Europeo. La procedura di codecisione non si applica in questa fattispecie, poiché l’organo di rappresentanza non può entrare nel merito delle singole voci di spesa, ma semplicemente approvare o meno, il bilancio nella sua globalità.
Il fattore di maggior incertezza riguarda le prospettive finanziarie legate all’approvazione del bilancio, la cui adozione mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.
Alla prossima approvazione del Bilancio, oltre alle prospettive finanziarie sono legati 75 regolamenti da approvare entro dicembre.
In attesa dell’esito del confronto istituzionale nei prossimi mesi, proponiamo una riflessione su un pilastro essenziale della filosofia ispiratrice della nuova strategia Europa 2020, l’elemento di Coerenza, concetto approfondito dal Prof. Andrea Pierucci (docente di Organizzazione Politica Europea presso l’Università “L’Orientale”) nel corso della conferenza di presentazione del percorso “Europa 2020: istruzioni per l’uso”
L’elemento di Coerenza, intesa in relazione agli obiettivi dell’Unione e al coordinamento delle sinergie tra gestione diretta e gestione indiretta (fondi strutturali), diviene determinante sia per chi intende realizzare progetti per gli anni successivi (che devono essere coerenti con quelli precedenti), sia come elemento di valutazione dei progetti presentati (che devono essere coerenti con gli altri progetti e con la strategia Europa 2020).
Nell’ambito del vertice del 7 e 8 febbraio, prosegue Pierucci, sì è introdotto una lettura ancora più forte del concetto di coerenza: la condizionalità, che comporta per i beneficiari dei fondi l’obbligo di dimostrare la linearità del proprio progetto con la strategia Europa 2020 e si concentra sui risultati già prima del lancio.
I risultati costituiscono l’altro elemento determinante di novità. Finora la componente essenziale nella valutazione di un progetto è stata la corretta compilazione del rendiconto. Oggi viene introdotto questo secondo elemento legato ai risultati intesi sotto due profili: da un lato quello Premiale (riconoscimento dei risultati sia in termini di finanziamento che di pubblicità) e dall’altro quello del Monitoraggio, strumento fondamentale per eseguire efficacemente i programmi ed eventualmente bloccarli nel caso si rivelino inadeguati a conseguire i risultati attesi.
Tali regole mirano alla gestione razionalizzata dei fondi europei, intesi non più come finanziamenti a pioggia destinati indiscriminatamente alle aree cosiddette depresse, bensì come investimenti finalizzati a realizzare gli obiettivi di sviluppo dell’Unione Europea.
Il mancato utilizzo di fondi messi a disposizione e non sfruttati, costituisce un doppio danno per la comunità, come del resto, l’utilizzo destinato alla realizzazione di opere inutili o incapaci di favorire un reale sviluppo del territorio, anche alla luce delle quote di co-finanziamento pendenti in capo alle amministrazioni locali e nazionali. L’Italia, nel periodo compreso tra il 2007 e il 2011, presenta un saldo negativo di 22 miliardi di euro tra contributi destinati al bilancio europeo e fondi usati.
In valori assoluti i versamenti sono passati dai 14,02 miliardi del 2007 ai 15,1 miliardi del 2008 (comprensivi della voce legata all’amministrazione). E dal 2008 al 2011 i contributi sono aumentati di altri 900 milioni, toccando quota 16 miliardi nel 2011. Gli incassi europei hanno viaggiato sulla corsia di marcia opposta, scendendo dagli 11,3 miliardi del 2007 ai 9,5 miliardi del 2011. Dati che confermano come le risorse comunitarie utilizzate, provengano direttamente dal nostro Paese.
Utilizzo dei fondi europei: per il periodo 2007-2013 Bruxelles ha messo sul piatto 59,2 miliardi per le Regioni, le Province e i Comuni che presentano un progetto coerente con gli obiettivi del fondo sociale e del fondo per lo sviluppo regionale.
Secondo l’attività di monitoraggio esercitata dalla Ragioneria generale dello Stato nelle regioni a Obiettivo Convergenza (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) i pagamenti sono fermi al 22,60% (dati relativi al giugno 2012), mentre il livello di attuazione degli impegni è pari al 53,90%.
Per avere un quadro completo facciamo riferimento alla recente analisi IFEL, la fondazione sulla finanza locale dell’ANCI, secondo cui alcuni dei problemi legati allo sfruttamento delle risorse comunitarie risiedono nella frammentazione degli interventi, nella confusione tra gestione e programmazione, e nel dirottamento dei fondi comunitari su programmi poco strategici, tesi magari alla realizzazione di progetti che poco hanno a che fare con un razionale utilizzo dei fondi.
Per dimostrare queste tesi, l’IFEL spiega che i Comuni sono destinatari di quasi un quarto dei fondi FESR (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) 2007-2013, pari a 30,6 miliardi di euro, ma per finanziare piccoli progetti difficili da monitorare.
I Comuni devono realizzare ben 2.410 progetti distribuiti per 1.293 enti, e cioè un progetto ogni sei Comuni che, nelle regioni del Sud, sale al 43% e in Calabria raggiunge la quota massima dell‘89%.
In una situazione tanto atomizzata, seguire la realizzazione di ogni singolo progetto, monitorarne i progressi e quindi elargire le tranche del finanziamento è molto difficoltoso. Il risultato è che il 40% dei progetti non è neppure all’inizio.
Non solo: il 43,5% dei progetti non supera il valore dei 150mila euro, configurando quasi la metà degli interventi come piccole operazioni che difficilmente potranno avere l’effetto di creare valore aggiunto per la realtà nella quale verranno realizzati, e che raramente riusciranno a colmare il gap di infrastrutture e di servizi pubblici che separa fortemente i territori più ricchi da quelli più svantaggiati.
Eppure gli ambiti di intervento vanno proprio in queste direzioni. Il grosso delle risorse (36,2%), dovrebbe favorire la riqualificazione di aree urbane, industriali e commerciali; il 33,3% essere investito per favorire la mobilità; l’11,9% per la salvaguardia del territorio; l’11,4% per la tutela del patrimonio artistico e culturale e il 7,2% dovrebbe essere utilizzata per inclusione sociale ed efficienza energetica.
Occorre tenere in considerazione come la lentezza della realizzazione dei progetti, possa costare molto caro. Se prima la restituzione automatica dei fondi avveniva al termine del ciclo di programmazione, ora l’Unione Europea ha imposto che i fondi inutilizzati per due anni vengano restituiti.
Se a livello regionale i fondi vengono spesso restituiti o utilizzati in modo non appropriato, scenario completamente diverso riguarda i finanziamenti diretti. Secondo uno studio della Camera di Commercio Italo-Belga, l’Italia è al primo posto nell’Ue per numero di enti e imprese che beneficiano di finanziamenti europei a gestione diretta, erogati direttamente dalla Commissione sotto forma di appalti e progetti. (Vedi grafico)
Circa il 70% delle imprese italiane che si sono aggiudicate un finanziamento europeo nel 2011 è del Nord Italia, il 22% del Centro e l’8% del Sud.
Questi dati evidenziano come il nostro sistema imprenditoriale è sano e sta puntando sui finanziamenti europei, ma anche come il gap tra nord e sud è ancora più grande in questo settore.
Il rovescio della medaglia è costituito dall’ammontare dei progetti, in media meno significativi rispetto ai bandi vinti da imprese e soggetti di altri paesi. La media dell’ammontare complessivo in euro dell’insieme di appalti e progetti cui ha partecipato almeno un ente italiano durante il triennio 2009-2011 è pari a circa 3,29 miliardi di euro, contro i 4,49 miliardi dei tedeschi, 4,67 dei francesi e 4,05 dei britannici. Vicini all’Italia solo gli spagnoli con circa 3,27 miliardi.
Mentre ci s’interroga sul ruolo dell’Europa di domani, in ambito nazionale si impone un radicale cambiamento del modo di stare in Europa. Questo processo dovrà riguardare anche la gestione dei fondi europei, con l’esigenza non solo di accelerare la spesa, ma di riqualificarla, evitando la dispersione in piccoli progetti marginali e concentrandola su interventi strategici. La strada da percorrere appare lunga e impervia, ma passa inevitabilmente attraverso la crescita di competenze e professionalità in grado di saper cogliere la sfida del nuovo settennato della programmazione comunitaria 2014-2020.
A cura di Roberto Giuliani, Paolo Carotenuto, Loredana Orlando
Associazione Prospettiva Europea
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