Abbiamo perso la Turchia
Abbiamo perso la Turchia. E non è lezione da poco. La Turchia moderna, laica, tollerante, democratica, è stata l’invenzione di un uomo, Mustafà Kemal Atatürk, che, col sostegno di pochi militari “illuminati”, impose alla Turchia, per il suo bene, un rinnovamento così coraggioso e profondo, da avere suscitato l’ammirazione del mondo per circa ottant’anni.
I militari turchi, contrariamente a quanto si è visto dovunque altrove, avevano veramente a cuore i principi del Kemalismo, e quando sono intervenuti, con ripetuti colpi di Stato (naturalmente deprecati con alti lai dai Paesi occidentali) l’hanno fatto per rimettere sulla retta via la Turchia, restituendola sempre alla democrazia. Ma ciò è stato vero fino ad avant’ieri, quando il colpo di Stato militare non è riuscito e la gente è scesa in strada per confermare il proprio sostegno a un governo tendenzialmente autocratico e tendenzialmente islamista. Cioè – sempre tendenzialmente – un governo com’era prima di Atatürk. E da ciò si possono trarre alcune lezioni.
In primo luogo che la democrazia non è necessariamente un regime moderno, nel quale sono ovviamente assicurate le libertà di parola, di stampa, di religione o perfino di vestiario. La democrazia è soltanto un regime in cui votano in molti (oggi tutti i maggiorenni) e questi decidono non per il loro bene, ma per quello che credono il loro bene. Inoltre, non per il bene di tutti, ma per il bene della maggioranza, che può benissimo essere in conflitto con il bene della minoranza. Anche quando il bene della minoranza è quella libertà che credevamo connaturata con la democrazia. Insomma la democrazia non è un risultato – cioè un certo modello di società – ma un modo di attribuzione del potere. E se con questo sistema si consegna il timone della nazione a qualcuno, fino alla dittatura, può avvenire che sia abolito lo stesso il sistema di attribuzione del potere. Insomma prima con le elezioni si manda al governo Hitler, e poi Hitler abolisce le elezioni.
Ora la Turchia, con libere elezioni, ha a poco a poco modificato il Paese che Atatürk aveva reso moderno e laico fino a farne un Paese tendenzialmente confessionale, bigotto e magari arretrato. Ecco perché possiamo dire che abbiamo perso la Turchia come la conoscevamo. E abbiamo avuto la conferma che a migliorare un Paese non basta una guida illuminata. Non basta che una sterminata metropoli largamente europea come Istanbul abbia una mentalità moderna e laica, se la maggior parte della popolazione del Paese abita in periferia, è tradizionalista e vota per un partito a tendenza religiosa, nel nostro caso musulmana. Il risultato è che anche la nazione sarà a tendenza religiosa ed anzi bigotta. Non basta un pugno di laici eredi di Atatürk a cambiare la vecchia Anatolia delle campagne. Gli eventi di questi ultimi anni ci dimostrano che la Turchia meritava il Califfo, non Atatürk.
Le conclusioni cui conducono questi fatti non sono insignificanti. Innanzi tutto è vero che la democrazia è il miglior regime fra quelli offerti dalla realtà, ma chi si illude che essa conduca a decisioni sagge, o anche soltanto alla libertà, si sbaglia di grosso. Rimane assolutamente vero il detto – che pareva banale – secondo cui ogni popolo ha il governo che merita. Anche quando una nazione si trova ad avere un regime migliore di quello che merita – octroyé dalla storia – poi appena possibile opera una svolta per tornare alla situazione precedente. Ed ecco perché la Turchia merita Erdogan.
Attenzione, vale anche per noi. Gli italiani sono convinti di essere migliori del governo che hanno, ed anche per questo votano per il M5S. Ma si sbagliano pesantemente. Il governo che abbiamo è il migliore che potremmo avere, considerando quello che siamo. È inutile chiedergli di essere più onesto, più intelligente, per economicamente saggio di quello che è. Sarebbe come chiedere agli italiani di essere più onesti, più intelligenti, più economicamente saggi di quello che sono.
Naturalmente la storia va avanti e non è detta l’ultima parola. Qualcuno dice che il successo di Erdogan è anche dovuto al momento economicamente positivo attraversato dalla Turchia, che ha fatto anche chiudere gli occhi sui disastri accumulati da Erdogan in politica estera. E per conseguenza, se questo momento economicamente positivo avesse termine, potrebbe aversi nella popolazione una reazione opposta. Ma in quel momento potrà ancora esercitare il diritto di voto, per scegliere un governo diverso?
Anche questo è un corollario importante. Non tutti gli errori dispongono di marcia indietro. La democrazia può votare per la dittatura, ma con la dittatura si può votare per la democrazia? O, più precisamente, in che misura il popolo è disposto a scendere in piazza e rischiare la vita, quando si tratta di riconquistare la libertà? Alcuni popoli, a cominciare dai placidi inglesi, la rivoluzione e persino il regicidio ce l’hanno nel sangue, altri, come noi italiani, non hanno mai fatto una rivoluzione. C’è di che toccare ferro.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
17 luglio 2016
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