Lo scugnizzo di Leuven
Con la rete al Barcellona dello scorso 25 febbraio, Dries Mertens ha toccato quota 121 gol in maglia azzurra, raggiungendo Marek Hamšík in testa alla classifica dei marcatori partenopei di tutti i tempi.
“Non farà più di otto partite con il Napoli”. Era l’estate del 2013 ed Eziolino Capuano, attuale allenatore dell’Avellino in Serie C, si esprimeva così su Dries Mertens, nuovo acquisto degli azzurri, proveniente dal PSV Eindhoven, con cui aveva trafitto il club del presidente Aurelio De Laurentiis nella fase a gironi dell’Europa League 2012/2013.
Sei anni e mezzo dopo, il nazionale belga (90 presenze e 18 gol con i “Diavoli Rossi” e medaglia di bronzo al Mondiale russo del 2018) può affermare a ragione di essere tra i giocatori più importanti nella storia del Napoli, con il primato nella classifica all-time dei marcatori che rappresenta soltanto la ciliegina sulla torta della straordinaria avventura all’ombra del Vesuvio.
Il romanzo partenopeo di Mertens, entrato perfettamente in simbiosi con il popolo napoletano, che lo ha ribattezzato affettuosamente “Ciro”, è degno di menzione, oltre che per le eccezionali statistiche (121 reti in 309 partite, alla media di una ogni 158 minuti), anche per l’evoluzione tecnico-tattica vissuta nel corso di questi anni.
Arrivato a Napoli come esterno sinistro di attacco, è stato impiegato in quella posizione prima da Rafa Benítez (dal 2013 al 2015) nel 4-2-3-1 e poi da Maurizio Sarri (2015/2016) nel 4-3-3, venendo spesso considerato un’alternativa a Lorenzo Insigne. Malgrado un utilizzo da “dodicesimo uomo” (ben 66 subentri su 142 presenze complessive nel primo triennio partenopeo), Dries riesce comunque a mettersi in mostra, andando sempre in doppia cifra per un totale di 34 marcature.
Ciononostante, come rivelato in un’intervista del 1° ottobre 2019 al portale belga Sport Magazine, Mertens, durante la sua terza annata partenopea, la prima di Sarri, non era affatto entusiasta del suo ridotto minutaggio: “Nella sua prima stagione Sarri mi ha fatto giocare dall’inizio sei volte. Ogni settimana venivo chiamato alla sua scrivania e dovevo sentire quanto gli dispiacesse il fatto che mi avesse messo di nuovo in panchina. Mi ha fatto davvero impazzire e spesso mi sono arrabbiato. Ci sono stati momenti in cui volevo combatterlo. Mi ha chiesto di capire il suo punto di vista e ha detto di sperare che un giorno sarei diventato allenatore, in modo da capire perché fosse utile avere un giocatore come me in panchina. In una partita contro la Sampdoria ero così stufo della situazione da decidere che avrei deliberatamente giocato male. Ma Sarri, conoscendomi fino in fondo, sapeva che non ero in grado di farlo per più di cinque minuti. E aveva ragione”.
Tale frustrazione sarebbe emersa in occasione della 1ª giornata della Serie A 2016/2017, in cui Dries, chiamato in causa a partita in corso, realizzò una doppietta contro il Pescara, permettendo alla sua squadra di pareggiare il doppio svantaggio, e rivolse un eloquente sguardo di fuoco verso Sarri dopo il primo gol.
Proprio l’attuale allenatore della Juventus, però, è stato l’artefice della svolta decisiva nella carriera di Mertens. Infatti, complici il grave infortunio di Arkadiusz Milik (acquistato per sostituire Gonzalo Higuaín) e le deludenti prestazioni di Manolo Gabbiadini, il belga viene schierato come prima punta e, dopo un iniziale fase di naturale rodaggio, inizia a segnare con incredibile continuità a partire da dicembre 2016 (9 reti in 4 partite tra campionato e Champions League, con la perla del poker realizzato al Torino). I gol alla fine della stagione saranno 34, di cui 28 in Serie A (vicecapocannoniere dietro a Edin Džeko).
Sbagliato, in ogni caso, etichettare Mertens come un falso nueve, termine usato dagli addetti ai lavori soprattutto in relazione al Barcellona di Pep Guardiola, ma che affonda le proprie radici nella Grande Ungheria degli anni ’50 e nel suo numero nove atipico, Nándor Hidegkuti (visto in Italia da allenatore della Fiorentina e del Mantova), una carriera da ala destra prima del cambio di ruolo deciso dal CT Gusztáv Sebes.
Hidegkuti siglò una tripletta nello storico 6-3 con cui i magiari sconfissero l’Inghilterra (prima Nazionale non britannica a espugnare Wembley) il 25 novembre 1953 ed era il perfetto centravanti “di manovra” dell’Aranycsapat (“Squadra d’Oro”), come dimostrano le parole di Ferenc Puskás, stella di quell’Ungheria: “Era bravissimo a farsi trovare libero per ricevere il pallone, portare fuori posizione il centrale difensivo e colpire successivamente con un passaggio filtrante o con una corsa nello spazio per andare a segnare”.
Mertens, invece, interpreta in maniera differente il ruolo, in quanto, pur non possedendo il classico fisico della prima punta (è alto 169 centimetri e pesa 61 chili), ha movimenti da vero e proprio numero nove, non liberando direttamente lo spazio alle sue spalle per favorire l’inserimento dei centrocampisti, ma aiutando lo stesso lo svolgimento della manovra con un notevole incremento nel numero di assist (12 all’anno dal 2016 al 2019).
Mostrando in aggiunta ottime capacità nell’attacco della profondità, ha reso “inutile” l’acquisto invernale di Leonardo Pavoletti (sceso in campo appena dieci volte con gli azzurri da gennaio a maggio 2017 e ceduto al Cagliari già nella successiva sessione di mercato) e ha fatto sì che il Napoli capitalizzasse al meglio la produzione offensiva creata, contribuendo al raggiungimento dei 94 gol segnati nella Serie A 2016/2017 e meritandosi l’ingresso tra i 30 candidati al Pallone d’Oro 2017.
Dries ha pienamente confermato la sua bravura da centravanti anche nelle due annate successive (22 reti nel 2017/2018, 19 nel 2018/2019), non risentendo eccessivamente del cambio di allenatore, con l’addio di Sarri e l’arrivo di Carlo Ancelotti nell’estate del 2018, sebbene quest’ultimo, almeno inizialmente, gli avesse preferito Milik.
Il 28 novembre 2018 è una serata magica per Mertens: la doppietta alla Stella Rossa in Champions League gli consente di tagliare tre traguardi contemporaneamente: 200 gol in carriera; 100 con il Napoli; miglior marcatore di sempre nelle competizioni europee nella storia dei partenopei con 20 reti (oggi 26) davanti a Edinson Cavani.
La stagione in corso è probabilmente la più difficile per Dries e, in generale, per l’intero ambiente napoletano. L’ormai celebre ammutinamento del 5 novembre 2019 è solo l’epilogo del deterioramento dei rapporti tra la squadra e De Laurentiis, il quale il 17 ottobre, in riferimento ai contratti in scadenza a giugno 2020 di José María Callejón e Mertens, aveva affermato che i due giocatori erano liberi di trasferirsi in Cina per “fare le marchette”.
A pagarne le conseguenze è Ancelotti, esonerato il 10 dicembre poche ore dopo la vittoria contro il Genk e il conseguente passaggio del turno in Champions. Il suo posto viene preso da Gennaro Gattuso e Dries, condizionato da un infortunio agli adduttori, vede pochissimo il campo, saltando l’intero mese di gennaio.
Ancora una volta Mertens è stato in grado di ribaltare le gerarchie, dato che, appena tornato a disposizione, è entrato e ha segnato nella trasferta di Genova con la Sampdoria del 3 febbraio, interrompendo un’astinenza che in Serie A durava dal 29 settembre.
Il gol al Barcellona, bloccato sul pareggio al San Paolo nell’andata degli ottavi di finale di Champions League, ha comprovato il suo ottimo feeling con la massima competizione continentale (sesto gol nell’edizione 2019/2020, dodicesimo stagionale) e ha attestato la ripresa del Napoli, che sembra essere definitivamente uscito dal periodo buio.
La sospensione dovuta all’emergenza COVID-19 ha interrotto la rincorsa azzurra e ha rinviato l’appuntamento con la 122ª rete di Mertens. È indubbio che “Ciro”, appianate nel frattempo le divergenze con De Laurentiis e pronto a firmare un rinnovo biennale, sia tra i più vogliosi di ricominciare a giocare, in modo da staccare Hamšík e certificare ulteriormente il suo ingresso nella storia del Napoli.
Stefano Scarinzi
28 marzo 2020
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