Il ritorno del re
Sette anni e mezzo dopo il suo addio, Zlatan Ibrahimović è tornato al Milan con l’obiettivo di riportare i rossoneri ai livelli a cui li aveva lasciati.
“L’egoismo è paura di rimanerci […] senza nome né gloria, in quanto consideriamo la gloria e il buon nome come oggetti di possesso, pennacchi indispensabili a giustificare davanti alla tenebra il dono della vita individuale”. Nel 1953, Carlo Emilio Gadda pubblicò L’egoista, un breve saggio in forma di dialogo, in cui i due protagonisti, Teofilo e Crisostomo, analizzano le differenze tra la psicologia dell’egoista e quella dell’egotista (o narcisista).
Per la definizione di “egoismo” data da Crisostomo, sarebbe stato sufficiente menzionare un nome e un cognome: Zlatan Ibrahimović, il cui carattere, in realtà, ben si addice anche alla figura dell’egotista-narcisista.
La carriera dell’undici volte vincitore del “Guldbollen” (premio destinato al miglior calciatore svedese dell’anno) è stata sempre caratterizzata da un’altissima considerazione di se stesso, ampiamente giustificata dall’incredibile quantità di titoli in bacheca, personali e di squadra.
“So che non posso giocare come quando avevo 28 anni, ma i giocatori intelligenti sanno come gestirsi: si può correre meno e tirare di più da 40 metri”. Le prime parole rilasciate nel corso della conferenza stampa in cui è stato presentato dal Milan sono servite a Ibra per mettere a tacere i dubbi che hanno accompagnato la sua firma con i rossoneri.
Perplessità derivanti dall’età (a ottobre Zlatan compirà 39 anni), dall’ingente stipendio (3 milioni fino a giugno, che potrebbero diventare 9 qualora il contratto venisse esteso all’intera stagione 2020/2021) e dall’ultimo biennio, vissuto con la maglia dei Los Angeles Galaxy in un campionato non di prima fascia come quello americano, malgrado i numeri di Ibrahimović siano rimasti notevoli (53 gol in 58 partite).
“Un anno fa mi aveva cercato Leonardo, ma non mi sentivo ancora pronto per fare la differenza in Italia, avevo un solo campionato di MLS nelle gambe dopo l’infortunio. Ora mi sento vivo, più che vivo”.
Tra tante manifestazioni di ego, non è mancato un momento di umiltà da parte di Zlatan, il quale ha confessato come le due stagioni a stelle e strisce gli siano servite per ritrovare continuità in seguito al grave infortunio subìto il 20 aprile 2017, quando Ibra, nel corso del quarto di finale di Europa League che vedeva opposti il suo Manchester United e l’Anderlecht, riportò la rottura del legamento crociato anteriore e posteriore.
Pur dovendo restare fermo per sette mesi, le 28 reti realizzate fino a quel momento (comprese le tre complessive nelle vittoriose finali di Community Shield e Coppa di Lega contro, rispettivamente, Leicester e Southampton) gli valsero il rinnovo del contratto da parte dei Red Devils.
Al suo rientro in campo, tuttavia, Zlatan trovò poco spazio, chiuso da Romelu Lukaku, acquistato dall’Everton per 75 milioni di sterline. Le presenze tra tutte le competizioni furono appena sette, con un solo gol, in Coppa di Lega, a distanza di 255 giorni dal precedente.
Ciò comportò il suo addio anticipato allo United, ufficializzato il 22 marzo 2018 con la rescissione consensuale del contratto, e l’approdo in America, da molti interpretato come il primo passo verso una pensione dorata.
Ma che Milan ritrova Ibrahimović? Innanzitutto un club non più di proprietà di Silvio Berlusconi, il cui disimpegno iniziò proprio con le cessioni dell’attaccante svedese e di Thiago Silva al Paris Saint-Germain nell’estate del 2012.
Il “Diavolo”, oggi gestito dal fondo Elliott, non compete per la vittoria dello scudetto dalla stagione 2011/2012, quando dovette inchinarsi solo nel rush finale alla Juventus, all’alba della sua egemonia nazionale. Da allora, il miglior risultato è stato il 3° posto del 2012/2013, valso l’ultima qualificazione in Champions League, competizione da cui i rossoneri mancano da sei anni.
Un dato su tutti testimonia le enormi difficoltà incontrate dal Milan nelle ultime sette stagioni e mezza: nel decennio appena conclusosi, il cannoniere principe del “Diavolo” in Serie A è stato Ibra stesso (42 reti), nonostante questi abbia indossato la maglia rossonera soltanto dal 2010 al 2012.
Anche Krzysztof Piątek, arrivato nel gennaio 2019 dal Genoa, dopo un buon impatto con il mondo milanista (9 gol nella seconda parte della scorsa stagione), sembra aver perso la sua efficacia sottoporta, poiché le sue reti finora sono state solo quattro, di cui tre su rigore.
Il polacco è divenuto il simbolo delle prime 17 giornate da incubo dei rossoneri, undicesimi in classifica e lontanissimi dalle posizioni che valgono la qualificazione in Europa. Il cambio in panchina, con l’esonero di Marco Giampaolo e l’arrivo di Stefano Pioli, non sembra aver modificato lo scenario, come ha evidenziato il pesante 5-0 rimediato a Bergamo contro l’Atalanta, peggior sconfitta in campionato dal 1998.
Il ritorno di Ibrahimović, seppur non nella sua miglior versione, può servire al Milan soprattutto per restituire entusiasmo all’intero ambiente, da troppi anni attestatosi su una mediocrità che non si confà alla tradizione rossonera.
Per un’eventuale scalata alla zona europea, invece, servirebbe che Zlatan torni a essere con costanza “Ibracadabra”, trasformando, con l’ennesima magia della sua carriera, l’utopia in realtà.
Stefano Scarinzi
4 gennaio 2020
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