Un uomo per tutte le stagioni
Il 3-0 rifilato al Debrecen nell’andata del secondo turno preliminare di Europa League sembra il giusto viatico per il ritorno del Torino nella fase a gironi della seconda competizione continentale e per il definitivo riscatto di Walter Mazzarri dopo le deludenti esperienze con Inter e Watford.
“L’uomo giusto al posto giusto nel momento sbagliato”. Chissà quante volte nella testa di Walter Mazzarri hanno fatto capolino queste parole dopo il 14 novembre 2014, nel giorno del suo primo e finora unico esonero in carriera, deciso da Erick Thohir, presidente dell’Inter.
Dopo il quadriennio ricco di soddisfazioni vissuto a Napoli, era arrivato a Milano con l’obiettivo di risollevare una squadra reduce dalle montagne russe dell’era Stramaccioni, iniziata con l’entusiasmo alle stelle e con la vittoria allo Juventus Stadium (prima squadra in assoluto a riuscirci), ma conclusasi con un disastroso nono posto in classifica e la conseguente estromissione dalle coppe europee (l’ultima esclusione dei nerazzurri risaliva al 1999).
Fallito l’esperimento con l’ex allenatore della Primavera interista, Massimo Moratti, che di lì a pochi mesi avrebbe ceduto la società a Thohir, decide di affidarsi al pragmatismo di Mazzarri per riportare i nerazzurri a livelli più consoni al proprio blasone. La rosa che viene consegnata al tecnico di San Vincenzo, però, appare da subito inadeguata, essendo composta dagli “anziani” e acciaccati eroi del triplete del 2010 e da un manipolo di calciatori di medio-basso cabotaggio. L’unico acquisto degno di nota è quello di Mauro Icardi, ventenne attaccante prelevato per 13 milioni dalla Sampdoria, con cui era andato a segno dieci volte nella prima annata giocata in Serie A.
Dopo un ottimo inizio, il campionato dei nerazzurri procede senza grossi sussulti e si conclude in quinta posizione, utile per la qualificazione in Europa League. Tuttavia, il 3-5-2, marchio di fabbrica di Mazzarri, non scalda i cuori dei tifosi, delusi per il gioco mostrato e sempre freddi nei suoi confronti.
L’apice dell’insoddisfazione del popolo interista si raggiunge all’inizio della stagione 2014/2015, quando lo speaker di San Siro è costretto in più occasioni a non annunciare il nome di Mazzarri per evitare che venga ricoperto di fischi. Il malcontento dei tifosi e i brutti risultati delle prime undici giornate di campionato comportano il suo esonero e l’arrivo dell’ex Roberto Mancini.
Mazzarri va via senza lasciare rimpianti, nonostante l’attuale CT dell’Italia, pur potendo contare su campagne acquisti decisamente più importanti rispetto a quelle riservate al predecessore, non vada oltre un ottavo e un quarto posto. Il lavoro compiuto da Mazzarri nel corso del suo anno e mezzo interista è ulteriormente rivalutato dalla prima annata della presidenza Suning (2016/2017), condizionata da ben tre cambi di guida tecnica e dalla settima posizione finale, con conseguente esclusione dalle coppe europee, la terza in cinque stagioni.
Quasi due anni dopo l’addio all’Inter, Mazzarri decide di vivere la prima esperienza all’estero e accetta la panchina del Watford, squadra di Premier League di proprietà di Giampaolo Pozzo, patron anche dell’Udinese. L’approccio non è dei migliori, dal momento che il tecnico si presenta ai tifosi con un inglese decisamente stentato. Il video diviene presto un tormentone sul web, affiancando altri suoi due must: il meme in cui indica l’orologio all’arbitro e al quarto uomo, lamentando perdite di tempo avversarie, e l’infelice frase “è cominciato a piovere” per giustificare il mancato successo contro il Verona, costatogli la panchina dell’Inter.
Malgrado il raggiungimento della salvezza e alcune vittorie di prestigio (su tutte, il 3-1 al Manchester United di José Mourinho, già battuto due volte con la Sampdoria quando il portoghese allenava l’Inter), l’esperienza inglese dura un solo anno, a causa delle difficoltà linguistiche che non gli permettono di gestire al meglio lo spogliatoio degli Hornets.
Mazzarri si ritrova così senza squadra e la sensazione più diffusa tra gli addetti ai lavori è che abbia ormai dato il meglio. Lontani i tempi della promozione del 2004 con il Livorno (riportato in massima serie dopo cinquantacinque anni), delle tre salvezze consecutive con la Reggina (compresa quella storica del 2006/2007, in cui i calabresi furono capaci di rimontare gli undici punti di penalizzazione inflitti per via di Calciopoli), della Sampdoria guidata in finale di Coppa Italia quindici anni dopo l’ultima volta e, soprattutto, del Napoli, che, sotto la sua gestione, prima è ritornato in Champions League dopo ventuno stagioni di assenza e poi ha nuovamente conquistato un titolo, la Coppa Italia del 2012, a distanza di ventidue anni.
La svolta avviene il 4 gennaio 2018, quando Urbano Cairo, presidente del Torino, in seguito a un altalenante girone di andata e all’eliminazione in Coppa Italia per mano della Juventus, decide di sollevare dall’incarico Siniša Mihajlović e di affidarsi a Mazzarri.
I primi sei mesi gli servono per valutare la rosa e la sua impronta è evidente nell’ultima annata, con il Torino che arriva a fine aprile in corsa addirittura per la qualificazione in Champions League. L’ennesima beffa subita nel finale di un derby (il gol del pareggio di Cristiano Ronaldo) rallenta i granata, costretti ad accontentarsi della settima posizione, non sufficiente per il raggiungimento dell’Europa League. La successiva esclusione del Milan per la violazione del fair play finanziario regala ai piemontesi la qualificazione al secondo turno preliminare di Europa League, segnando il ritorno del Toro in Europa oltre quattro anni dopo l’impresa del San Mamés di Bilbao e la successiva beffarda eliminazione negli ottavi contro lo Zenit San Pietroburgo.
All’ombra della Mole Mazzarri ha avuto modo di mettere in mostra la capacità di rivalutare e valorizzare calciatori, come già avvenuto a Genova con Antonio Cassano e Giampaolo Pazzini e a Napoli con Edinson Cavani.
Tra rinascite e scoperte, a Torino sono stati tanti i beneficiari della sua cura: Salvatore Sirigu, tra i migliori portieri della Serie A nell’ultimo biennio e di nuovo nel giro della Nazionale dopo la sfortunata parentesi spagnola tra Siviglia e Osasuna; Armando Izzo, capace di guadagnarsi l’esordio con l’Italia; Nicolas Nkoulou, tra i primi difensori del campionato per rendimento; Ola Aina, cresciuto nel Chelsea, esterno ideale nel 3-5-2 e reduce dal terzo posto nella Coppa d’Africa con la Nigeria; Cristian Ansaldi, tornato ai livelli che avevano spinto l’Inter ad acquistarlo dal Genoa nel 2016; Saša Lukić, bocciato da Mihajlović, ma, strada facendo, pedina sempre più preziosa nella formazione di Mazzarri.
Senza dimenticare Andrea Belotti, capitano e miglior giocatore dell’ultima stagione secondo i tifosi granata. “Il Gallo”, pur non avvicinandosi alle 26 marcature del 2016/2017, è stato il punto di riferimento offensivo del Toro ed è riuscito a convincere Roberto Mancini a reinserirlo nel gruppo della Nazionale. Inoltre, la partita contro il Debrecen, in cui ha realizzato il provvisorio 1-0, gli ha finalmente permesso di esordire nelle competizioni UEFA per club.
Mai troppo a suo agio davanti a microfoni e telecamere, preferendo di gran lunga il lavoro sul campo, Walter Mazzarri sembra configurarsi come la testimonianza vivente della locuzione latina Acta non verba, ovvero “Fatti non parole”.
Stefano Scarinzi
31 luglio 2019
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