In medio stat virtus
Stop della Federcalcio cinese a spese e ingaggi folli. D’ora in poi le squadre dovranno rispettare il tetto salariale stabilito dal governo.
Niente più spese pazze. La Cina chiude i cordoni della borsa e si scrolla di dosso la scomoda etichetta di “El Dorado” del calcio. Con effetto immediato i club saranno chiamati a non sforare il tetto salariale stabilito dalla Federcalcio, una sorta di fair play finanziario orientale.
Un giro di vite imposto direttamente dal governo cinese, preoccupato dall’eccessiva uscita di capitali dal paese in operazioni non sempre trasparenti. A questo proposito, le squadre dovranno dare anche informazioni dettagliate sul loro bilancio fiscale, a partire dalle fonti di finanziamento. In tal modo, il tetto agli stipendi potrà essere definito con precisione, basandosi sul reddito di ogni club.
Sarebbe sbagliato, però, pensare che il calcio non interessi al governo cinese. Questa decisione, infatti, è stata presa anche per tutelare la Nazionale allenata da Marcello Lippi. L’obiettivo dichiarato della Federcalcio è aumentare la competitività dei “Dragoni”, portandoli a conquistare la Coppa del Mondo entro il 2050, anno in cui la competizione più importante potrebbe disputarsi proprio in Cina. Per raggiungere questo scopo, entro il 2025 verranno aperte 50.000 accademie e costruiti 70.000 campi dove formare circa 50 milioni di calciatori.
Restando al presente, nella Super League non potranno più essere schierati quattro giocatori stranieri. Ogni club potrà metterne in campo al massimo tre, compreso un calciatore asiatico non cinese. Inoltre, per ogni partita ci sarà l’obbligo di convocare due atleti under-23, di cui uno da inserire obbligatoriamente nell’11 titolare.
Un progetto sicuramente ambizioso, ma basterà a lanciare una Nazionale che, a oggi, conta una sola partecipazione alla fase finale di un Mondiale? Era il 2002 e la Cina guidata da Bora Milutinović chiuse all’ultimo posto con zero punti e zero gol fatti il proprio raggruppamento. Il successivo secondo posto nella Coppa d’Asia 2004 sembrava l’inizio di una presenza stabile nell’élite continentale, ma da allora i risultati sono stati sempre deludenti.
Una brutta notizia, dunque, per i tanti calciatori stranieri che negli ultimi anni avevano scelto la Cina come destinazione, attratti non tanto dalla competitività del campionato, quanto dagli stipendi faraonici garantitigli. L’esempio più lampante è rappresentato dal brasiliano Oscar, trasferitosi dal Chelsea allo Shanghai SIPG per 60 milioni a 25 anni, segno che anche nel pieno della carriera “quando il denaro bussa, le porte si spalancano”, come recita un proverbio tedesco. E di fronte a quasi 25 milioni di euro all’anno, è davvero difficile tenere le porte chiuse.
Stefano Scarinzi
4 aprile 2018
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