Tolo Tolo di Luca Medici aka Checco Zalone
di Nazareno Barone.
“Lo straniero è il medesimo individuo che potremmo essere noi in circostanze mutate (…) L’uomo è l’essere confinario che non ha confini.” (Georg Simmel)_
Pier Francesco, detto Checco, è un uomo che crede nelle sue capacità da privato, da imprenditore. Vive a Spinazzola, paesino non proprio all’avanguardia e incline ai suoi progetti. Così Checco tenta la carta improbabile del sushi restaurant, con l’aiuto economico dei parenti e degli amici. L’inaugurazione è un successo, un mese dopo è un disastro e parte il pignoramento; così come parte anche il nostro protagonista, all’improvviso e lasciando una lettera alla madre nella quale dice di voler andare a sognare in altri lidi. Tutta la famiglia è disperata, stracolma di debiti; le due ex mogli furiose. Tutti lo odiano, ma Checco è ormai via, in piena Africa; disilluso ma col sorriso, lavora come cameriere in un villaggio del Kenia. Comincia allora “Tolo Tolo”, un film globale, nel quale l’umiltà di Checco Zalone stravince non solo al botteghino ma nella coscienza delle masse.
Dopo una serie di attacchi terroristici subiti prima nel villaggio vacanze, poi nel villaggio del suo nuovo amico cameriere Oumar, (appassionatissimo di cinema italiano e internazionale di tutti i tempi e in generale di arte), insieme a quest’ultimo e a Idjaba, (una giovane ragazza di cui precedentemente si era innamorato all’istante), Checco comincia ‘il grande viaggio con la compagnia anche di Doudou, figlio della donna. Il nostro protagonista però è molto scettico sul tornare in Italia, spaventato dai debiti ma anche dalla disumanità della sua famiglia (esclusa la madre), dei suoi concittadini e degli amministratori tutti. Ne seguiranno una serie di peripezie, drammi, conseguenze atroci e ribaltamenti. C’è spazio anche per l’incontro con Alexandre Lemaitre, noto cine fotografo giunto in Africa per documentare la dura realtà nella quale vivono le popolazioni locali; ma non sarà la loro salvezza.
“Tolo Tolo” è un film bomba, politicamente e universalmente scorretto. Checco Zalone, all’anagrafe Luca Pasquale Medici (e questo discorso lo affronterà anche nel metafilm), non si nasconde e guarda – con apparente ingenuità – dritto negli occhi la realtà; allo stesso tempo non guarda in faccia a niente e nessuno e ne ha per tutti: famiglia, sindaci, politici italiani, ministri europei, Stati Uniti, Cina, Africa, perfino sé stesso, assumendo una capacità di autocritica che non è evidente, ma c’è. Consideriamo anche il fatto che il suo stile si basa su una contrapposizione di presunzione occidentale per la società del benessere e l’aderenza spesso opportunistica ai costumi e usi dei popoli africani che frequenta. Il successo di Zalone non sta soltanto nelle risate che strappa, nei deliri di onnipotenza alla Mussolini che proiettano in modo abile lo spettatore in una realtà più che attuale, nel dramma dei migranti e dei viaggi della salvezza, ma più in generale e a mio avviso acutamente nell’attacco velato ad ogni forma di borghesia demagogica. Le citazioni a Pasolini (“Mamma Roma”), Bertolucci (“Il tè nel deserto”) e a tanto cinema neorealista e successivo agli anni ’60 non sono mai forzate e sono funzionali alla narrazione, tanto da essere leggere e commoventi. Il debito con Salvatores – “Marrakesh Express” ma non solo – è limpido. Le musiche raccontano e fungono da chiave interpretativa in modo semplice, oltre a rendere il tutto più esilarante (da “La lontananza” a tanta musica italiana che ha fatto due generazioni). Il montaggio, anche quello alternato per luoghi Europa/Africa, è registrato al cesello e i raccordi sono sempre ottimi e spingono gradualmente sull’acceleratore.
Checco Zalone affronta con coraggio temi e generi di ogni tipo, dalla commedia al dramma; dal comico al film di narrazione esistenziale. Inoltre, la scelta di girare in Africa (Kenia e Marocco) e Malta, portarsi una troupe intera o quasi, fare i provini in loco (nonostante il budget della produzione non sia basso) non è da tutti. Senza contare il girato compiuto in Italia, fra Bari, Roma e Trieste.
Infine lo ‘stellare’ cast che partecipa al film in modo più o meno attivo non è da prendere sotto gamba: da Nicola Di Bari a Barbara Bouchet, per passare ai veri (co)protagonisti come Souleymane Sylla, Manda Touré e il piccolo e straordinario Nassor Said Birya. Alexis Michalik interpreta Alexandre Lemaitre, il giornalista francese noto in tutto il mondo per la sua capacità di fotografare le realtà più crude di tutto il mondo (capace però anche di abbandonare nel momento del bisogno i suoi nuovi amici, ormai nei guai, imprigionati!).
Il punto è che l’autore qui, meglio ancora che in altri suoi film per i quali non ha firmato la regia, è capace di sfondare ogni forma di stereotipo e ribaltarlo a suo favore e (come dicevo in modo autocritico) contro sé stesso; un italiano medio ossessionato dalle tasse e da ogni forma di corruzione, connivenze e chi più ne ha più ne metta.
Soltanto nel finale, con la favolistica metafora-cicogna resa in un mix di grafica e animazione, credo si potesse rendere di più. La canzone e il siparietto divertono poco, rispetto ad altri momenti, ma si tratta di una scelta estetica che non condivido personalmente, soprattutto per come si era, fino ad allora, sviluppato il tutto. Ma questa è un’altra fiaba.
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