L’Unione Europea nella seconda fase di allargamento
L’intervento dell’Ambasciatore Guido Lenzi al Seminario “La politica estera dell’Ue nell’Europa dell’Est”, quarto incontro del V Ciclo di Seminari “I Mercoledì di Europalab” a cura dell’Associazione Prospettiva Europea. Napoli, Spazio Guida, mercoledì 11 novembre 2015.
Lo scenario odierno vede l’Unione Europea come un insieme di 28 stati, connotato da consolidati rapporti istituzionali ma senza la necessaria partecipazione dei cittadini, una situazione complessa da gestire che non può essere considerata come una diretta espansione dell’Europa dei 6 o dei 15.
Caduto il muro di Berlino nel 1989 l’Europa si è trovata a gestire la richiesta dei paesi dell’Est (cui non si poteva non rispondere positivamente) entrati poi nella fase di grande allargamento del 2004.
I nuovi ingressi sono stati regolamentati sulla base di regole economiche (compatibilità con il sistema economico europeo) e regole politiche (i principi dello stato di diritto) al fine di garantire la trasformazione dell’Ue in un entità diversa e più grande, senza però rinnegare le sue radici.
Viviamo ora una seconda fase di allargamento, in cui l’Ue deve confrontarsi con altri paesi dell’Est (Ucraina, Georgia, Moldavia, Azerbaigian) rimasti a metà del guado. Probabilmente non ci sarà un vero e proprio allargamento a questi paesi, bensì una forma di cooperazione rafforzata: al momento non è immaginabile un ulteriore allargamento da 28 a 35. A mio avviso la via da percorrere non è questa bensì quella di demoltiplicare l’Unione Europea creando vari cerchi concentrici, (ad esempio alcuni paesi vanno avanti con l’euro altri no) geometrie variabili con differenti intensità e livelli di integrazione individuando 3 categorie di paesi: quelli del primo cerchio che condividono tutti gli impegni fondamentali in termini di politica economica e monetaria, quelli del secondo cerchio con minori impegni ma con i molteplici vantaggi del Mercato Comune e
infine quelli del terzo cerchio, paesi ancora non entrati nell’Ue ma comunque dentro una prospettiva di integrazione graduale. Quindi l’Europa dei 28 non è più l’Europa dei 6, non può essere la stessa cosa, avendo al suo interno differenti sensibilità: è un’Europa diversa, inevitabilmente con differenti intensità, in quanto non si può pretendere dai nuovi entrati le stesse prestazioni degli altri.
In questa seconda fase di allargamento l’UE si è trovata ad affrontare il cambiamento della politica estera russa, preoccupata di un ingresso dell’Ucraina in Ue, evento che, con l’accesso al mercato comune e a tutti i vantaggi in termini di benessere economico e sociale che questo comporta, avrebbe potuto generare il “contagio” degli altri paesi dell’area, quali Bielorussia, Moldavia, etc.
Nella gestione della crisi in Ucraina, paese che dovrebbe essere un luogo di decompressione, di collegamento anziché come un nuovo muro, si è discusso molto sulla mancanza di una politica estera dell’Ue: a mio avviso non c’è motivo per cui l’Ue debba avere una politica estera comune, la politica estera deve essere fatta dagli stati membri, mentre un coordinamento europeo delle politiche estere deve essere finalizzato semplicemente a produrre azioni preventive nei confronti di avvenimenti internazionali di cui gli stati membri non hanno il controllo.
Concludo la mia riflessione ricordando che per procedere adeguatamente questo cammino è fondamentale difendere quanto di buono è stato conseguito, non stancandoci mai di sottolineare la positività del modello europeo
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