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Un’estate italiana

pallone-sgonfioFallimenti, ripescaggi, illeciti, penalizzazioni, ricorsi, seconde squadre, format: il solito pasticcio made in Italy caratterizza anche l’estate 2018.

“Ti racconteremo una storia italiana” cantano J-Ax e Fedez nel loro ultimo tormentone. Purtroppo non sono racconti di notti magiche, come facevano Edoardo Bennato e Gianna Nannini in occasione del Mondiale disputato nel “Bel Paese” nel 1990.

Si tratta, invece, del solito casino che contraddistingue le settimane più calde dell’anno in Italia, quando il calcio giocato nei nove mesi precedenti viene spesso ribaltato nelle aule dei tribunali o dai curatori fallimentari. I motivi? I soliti, ma, come da consuetudine nostrana, non si riesce mai a imparare dagli errori del passato ed ecco spiegato perché assistiamo a quell’eterno ritorno dell’uguale di cui parlava Friedrich Nietzsche.

I percorsi che hanno portato al disastro di quest’anno sono talmente numerosi e tortuosi da far sembrare facile la tappa sul Monte Zoncolan del Giro d’Italia.

Procediamo con ordine e partiamo dal 18 maggio, giorno dell’ultima giornata del campionato di Serie B. Il Parma espugna La Spezia e, complice il passo falso del Frosinone, conquista la terza promozione consecutiva, tornando in Serie A tre anni dopo il fallimento. A distanza di pochi giorni, però, vengono fuori dei messaggi WhatsApp inviati da Emanuele Calaiò e Fabio Ceravolo, tesserati dei ducali, ad alcuni colleghi del club ligure. L’obiettivo degli sms sarebbe stato quello di ottenere un minore impegno da parte dei giocatori dello Spezia, ormai senza scopi di classifica.
Il processo che ne è scaturito ha condannato il Parma a scontare 5 punti di penalizzazione nel prossimo torneo di Serie A e Calaiò a 2 anni di squalifica, mentre Ceravolo ne è uscito incolume. Insomma, promozione salva per i gialloblù e beffa per il Palermo, presente al processo come parte interessata. Il club di Maurizio Zamparini, dopo aver perso la finale play off nella controversa partita di Frosinone, ha promesso battaglia, puntando sul presunto smarrimento del cellulare di Ceravolo, perso il giorno dell’interrogatorio. Difficile, in ogni caso, che possano esserci grossi scossoni, se non un’ulteriore diminuzione della penalizzazione per il Parma nel successivo grado di giudizio.

Tanto lavoro per la giustizia sportiva in relazione al campionato cadetto.
Il 19 luglio la Corte d’Appello della Federcalcio ha parzialmente accolto il ricorso del Foggia, riducendo da 15 a 8 i punti di penalizzazione inflitti in prima istanza ai “satanelli” per l’uso di fondi illeciti nel biennio 2015-2017. Anche nel caso dei rossoneri, pertanto, categoria salva, sebbene la pesante sanzione comporti un campionato di sofferenza.
La vera sconfitta del processo è la Virtus Entella, accolta nel procedimento come parte interessata. Entella che era retrocessa dopo i play-out persi con l’Ascoli e che sperava in una penalizzazione del Foggia da scontare nella stagione 2017/2018 per essere riammessa in Serie B. Riammessa e non ripescata e questo è un altro dettaglio fondamentale per venire a capo della situazione. I liguri, infatti, avrebbero potuto giocare nel torneo cadetto solo in caso di riammissione, avendo già goduto del ripescaggio nel 2015. E, tra i tanti criteri che stabiliscono i ripescaggi, vi è anche l’esclusione da tale griglia per le squadre ripescate nelle ultime cinque stagioni sportive in qualsiasi campionato professionistico.

Ma facciamo un salto indietro proprio al 2015 per capire il caos che attanaglia il campionato cadetto italiano.
Gli illeciti del Catania, declassato all’ultimo posto, e del Teramo, a cui viene revocata la prima storica promozione in Serie B, e il fallimento del Parma, proveniente dalla massima serie, provocano un vuoto nell’organico cadetto. Tale situazione sembra apparecchiata per permettere il tanto agognato ritorno alle 20 squadre, con la necessità, quindi, di un unico ripescaggio. Ma ancora una volta il treno viene fatto passare senza salire a bordo e, tra riammissioni e ripescaggi, si resta con il format a 22 squadre, visto dalla gran parte degli addetti ai lavori come la panacea di tutti i mali, salvo poi fare carte false pur di mantenere lo status quo.
Emblematico, a riguardo, il monologo di Fabio Caressa, volto di punta di Sky Sport, che nel gennaio 2017, lamentandosi della scarsa qualità tecnica della Serie B, aveva esclamato che il calcio italiano non potesse permettersi 22 squadre nel secondo campionato nazionale. Peccato che proprio l’emittente di Rupert Murdoch un anno e mezzo prima fosse stata una strenua oppositrice alla riduzione del torneo a 20 club, avendone appena acquisito i diritti tv per il triennio successivo e non volendo rinunciare a quattro giornate per campionato.

Torniamo a oggi e capiamo che la situazione non è affatto cambiata, essendosi venuta a creare la stessa condizione di tre anni fa. I fallimenti di Avellino, Bari e Cesena hanno nuovamente creato una voragine, dando l’input alla Lega B presieduta da Mauro Balata di disporre il blocco dei ripescaggi al raggiungimento delle 20 squadre.
Nonostante l’approvazione unanime delle partecipanti al prossimo torneo cadetto, la FIGC ha bocciato la proposta, appellandosi all’articolo 50 delle N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne della FIGC), secondo il quale “ogni modifica all’ordinamento dei Campionati entra in vigore a partire dalla seconda stagione successiva a quella della sua adozione”.

Non è la prima volta che la Federcalcio interviene a gamba tesa sulla Lega B. Già nel 2014 dichiarò non lecito il blocco dei ripescaggi deciso dall’allora presidente Andrea Abodi, che aveva previsto un torneo eccezionalmente a 21 squadre per far fronte alla mancata iscrizione del fallito Siena.
Eppure, nella torrida estate 2003, la stessa Federazione non aveva esitato ad avvalersi del cosiddetto decreto legge “Salvacalcio” in seguito all’ennesimo “Caso Catania”, annullando le retrocessioni nell’allora Serie C1 dello stesso club etneo, del Genoa e della Salernitana e ammettendo la Fiorentina, vincitrice della C2 come Florentia Viola, in luogo del fallito Cosenza. La decisione del presidente Franco Carraro comportò un vero e proprio terremoto nell’ordinamento dei campionati. La Serie B 2003/2004 vide ai nastri di partenza ben 24 formazioni, che sarebbero diventate 22 dall’annata successiva, comportando di conseguenza l’allargamento della Serie A da 18 a 20 squadre, anch’esso visto come causa dello scadimento qualitativo in cui è incorso il massimo campionato e da sempre nei piani di riforma dei vari presidenti che si alternano alla guida della Federcalcio.

Un altro motivo di scontro, con continui ricorsi e controricorsi, riguarda i criteri per i ripescaggi, stabiliti proprio nell’estate 2014 dalla FIGC. Non ci si sarebbe limitati esclusivamente alla posizione in classifica nell’ultima annata, ma avrebbero avuto un peso importante anche altre due discriminanti: la tradizione sportiva e la media spettatori nelle cinque stagioni precedenti. In quell’occasione, a beneficiare di tale graduatoria fu il Vicenza, al terzo ripescaggio in appena nove anni.
Quest’anno, invece, la griglia è stata oggetto di modifiche in seguito al ricorso del Novara accolto dal Tribunale Federale Nazionale. In particolare, è stata annullata l’impossibilità di ripescaggio per le società che abbiano avuto problemi amministrativi nelle stagioni 2015/2016, 2016/2017 e 2017/2018. Dunque, i piemontesi, penalizzati di 2 punti nella Serie B 2015/2016 per questo tipo di irregolarità e potenzialmente esclusi dalla possibilità di tornare in cadetteria, sono balzati in testa alla graduatoria e, a meno di stravolgimenti dell’ultima ora, disputeranno il prossimo campionato di Serie B.
Ad accompagnare il Novara saranno il Catania e il Siena. Gli etnei hanno beneficiato a loro volta del vittorioso ricorso piemontese, dato che avevano dovuto scontare penalizzazioni per inadempienze finanziarie in due stagioni di Lega Pro (2015/2016 e 2016/2017). Fuori, quindi, dalla Serie B 2018/2019 Ternana e Pro Vercelli, retrocesse e prime escluse dalla graduatoria dei ripescaggi. I due club non hanno ancora gettato la spugna e presenteranno ricorso al Collegio di Garanzia del CONI contro l’ammissione in griglia di Novara e Catania.

Finita qui? Neanche per sogno.
L’estate 2018 è stata infuocata anche dal caso delle plusvalenze fittizie tra Chievo e Cesena. Secondo l’accusa, i due club, scambiandosi trenta calciatori per lo più sconosciuti, avrebbero contabilizzato nei bilanci oltre 25 milioni di euro, in modo da ottenere la Licenza Nazionale e l’iscrizione ai rispettivi campionati nel triennio 2015-2018. La Procura Federale aveva richiesto 15 punti di penalizzazione sia per i clivensi sia per i romagnoli da scontare nella stagione 2017/2018. Tali sanzioni avrebbero determinato la retrocessione dei gialloblù in B, con la conseguente riammissione del Crotone, e il declassamento dei bianconeri (nel frattempo falliti), con riammissione della già citata Virtus Entella.
Il 25 luglio, tuttavia, il Tribunale Federale Nazionale ha dichiarato l’improcedibilità del deferimento emesso nei confronti del Chievo a causa di un vizio formale, ovvero la mancata convocazione in tribunale del presidente Luigi Campedelli per ascoltarlo in merito alla vicenda. Ciò ha comportato il dover rifare da zero il processo, andando oltre l’inizio del campionato di Serie A. L’ulteriore slittamento dell’udienza al 12 settembre ha certificato il mantenimento della massima serie per i veronesi, “premiati” tra l’altro dal sorteggio del calendario, essendo i primi a ospitare Cristiano Ronaldo nella sua nuova avventura italiana con la Juventus.
Per quanto riguarda il Cesena, il TFN ha confermato i 15 punti di penalizzazione, da scontare non nella stagione 2017/2018, ma nel 2018/2019, in qualsiasi categoria dovesse giocare il “Cavalluccio”. Le due sentenze hanno di fatto chiuso le porte sia al Crotone sia all’Entella, generando la rabbia dei rispettivi presidenti, con Gianni Vrenna, patron dei calabresi, che aveva chiesto di bloccare l’inizio dei campionati in attesa del processo.

In tutto questo marasma, come se la passa la Serie C? Tutt’altro che bene, come ha recentemente ribadito il presidente Gabriele Gravina. Parole pesanti, che meritano di essere approfondite. Frasi come “la Serie C sarà composta da 56 squadre, ma a oggi non ho la minima idea di quali possano essere” o “ipotesi sospensione? Non so dove finiremo” sono la spia delle precarietà in cui versa il terzo livello della piramide calcistica italiana. Per il momento è saltata la prima giornata di campionato, ma con ogni probabilità succederà la stessa cosa con la seconda.
A ingarbugliare ulteriormente la matassa, la questione relativa alle seconde squadre, annunciate in pompa magna nei mesi scorsi da Roberto Fabbricini e Alessandro Costacurta, rispettivamente commissario e sub-commissario della FIGC, come risoluzione dei problemi del calcio italiano. A dispetto dei buoni propositi, solo la Juventus ha effettivamente allestito la compagine Under-23, che disputerà la prossima Serie C.
Il problema di base dell’ex Lega Pro resta l’eccessivo numero di squadre fallite prima dell’inizio della stagione. Si era cercato di risolvere la questione passando alla divisione unica e portando il numero di club da 90 a 60, ma l’emorragia non si è fermata. Troppo alti i costi di gestione per sostenere un torneo lungo e impegnativo come la Serie C, soprattutto per i club retrocessi dalla B che perdono il fondamentale introito dei diritti televisivi e si ritrovano in rosa giocatori con ingaggi insostenibili per la categoria.

Per spiegare bene le difficoltà della Serie B e della Serie C italiane, è necessario fare un paragone con le corrispettive categorie delle leghe europee più importanti.
Mentre in Italia la Lega B ha dovuto rinviare già due volte la compilazione dei calendari e non si hanno ancora certezze su quando ciò avverrà, la Football League Championship, la Zweite Liga e la Ligue 2 hanno già alzato il sipario sui loro tornei.
Un altro indizio che fa riflettere riguarda le medie spettatori. Analizzando i dati della stagione 2017/2018, si evince che, malgrado le tante lodevoli iniziative portate avanti dalla Lega B negli ultimi anni, di strada da fare ce ne sia ancora parecchia. Solo la Ligue 2, infatti, ha una media spettatori più bassa (6.649) rispetto alla Serie B (6.930), mentre più alti sono i numeri della Segunda División (8.662) e, soprattutto, della Zweite Liga (17.617) e della Championship (20.476), con quest’ultima addirittura non troppo lontana dalla Serie A (24.706).

Il calcio inglese si dimostra avanti anni luce rispetto a tutti gli altri, se si considera che la League One, l’equivalente della nostra Serie C, ha avuto una media di 7.754 spettatori. Numeri che fanno impallidire il terzo livello del nostro calcio (1.767 spettatori in media nel girone A, 2.167 nel girone B e 2.552 nel girone C). Alla base ci sono sicuramente motivazioni culturali, geografiche ed economiche, ma è impossibile non menzionare l’annosa questione stadi. Scomodi, vetusti, costosi e spesso inagibili: è questa la situazione in cui versano quasi tutti gli impianti italiani.

Mentre gli altri vanno avanti e compiono fatti concreti, in Italia ci si perde in tante, troppe chiacchiere, con la gran parte dei dirigenti sempre pronta a ergersi a paladina del cambiamento nelle dichiarazioni, salvo poi curare esclusivamente i propri interessi e pretendere un posto al sole.

Dalle stelle, rappresentate metaforicamente da Cristiano Ronaldo, alle stalle. Tutto nell’arco di un mese. La speranza è che, toccato il fondo, si possa solo risalire. Almeno fino al prossimo grado di giudizio.

Stefano Scarinzi
8 agosto 2018

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